Corriere della Sera, 11 giugno 2019
Il calcio è uno sport per signorine?
Caro Aldo, ho assistito con grandissima soddisfazione alla partita di calcio femminile Australia-Italia. Quasi due ore di gioco corretto, rispettoso, senza finzioni, simulazioni, ostentazioni cui i nostri giocatori sembrano molto affezionati. Inoltre, la telecronaca era chiara, precisa e senza inutili commenti.
Ho guardato la partita con sospetto perché il calcio femminile non riuscivo proprio a vederlo. Invece mi sono divertito. Ho visto grandi miglioramenti tattici tecnici e fisici. Brave ragazze: una grande vittoria!
Nel calcio femminile, o in altri sport nati maschili ma praticati in versione femminile, mi sembra che manchi l’aspetto spettacolare, che è ciò che mi attira di più. Poi lo sport competitivo o fatto solo per diletto può essere praticato da chiunque nei modi e con le finalità che meglio si adattino alla propria personalità.
Ho avuto brividi ed emozioni forti! Fino all’ultimo, fino al 95° col gol di Bonansea.
Altro che i maschi superpagati!
Le donne sono in media più goffe e scoordinate degli uomini e il campo è parecchi metri di troppo. Ma vincere al 95° è un bel segnale anche per i maschietti.
Cari lettori,
Domenica ho visto un pezzo di Australia-Italia in un bar affollato di uomini. Quasi tutti tifavano Australia. Ho ripensato al bel libro di Massimo Fini e Giancarlo Padovan, «Storia reazionaria del calcio» (Marsilio), in cui si afferma che «il calcio è sport omosessuale»; nel senso che secondo Fini – Padovan dissente – andrebbe praticato, visto e tifato solo da uomini. Però in curva ormai vanno molte donne. Gli stadi in Francia sono pieni, gli ascolti tv buoni. Il Mondiale femminile sarà un successo. E quando la Bonansea ha segnato il gol del 2 a 1, più d’un avventore del bar si è lasciato andare al gesto dell’ombrello davanti alle povere australiane: «Tiè!».