la Repubblica, 10 giugno 2019
Biografia di Barbara Bonansea
Emanuela Audisio su Repubblica
VALENCIENNES – «Io quando segno non capisco niente. Forse perché in quel momento sono incosciente e non penso. Chi si aspettava un gol di testa? Non è il mio forte, credo sia il mio secondo in Nazionale». Anche l’Italia ha la sua formidabile B.B. «Player of the match», per la Fifa. Barbara Bonansea non è bionda, ha gli occhi azzurri, il cerchietto rosso, e in area si fa notare. Festeggia i suoi 28 anni (tra tre giorni) con due gol all’Australia, il secondo al 95’. Ne aveva segnato anche un altro, al 9’, annullato dal Var, dopo una lunga attesa, per fuorigioco. «Onestamente dentro di me ho capito che forse la mia posizione non era regolare». Ora con 60 presenze sale a quota 23 e diventa la terza miglior marcatrice azzurra. Ha il dono della sincerità: «Il primo l’ho segnato perché ho sentito la portiera australiana gridare “run!” alla sua compagna, e allora ho capito che potevo rubare palla e infilarmi tra le due, così ho piazzato il destro sul palo più lontano. Nel secondo non dovevo essere lì. Contenta del premio? Sì, se ci aiuterà ad andare avanti». Nata a Pinerolo, in provincia di Torino, tifosa della Juve e di Cristiano Ronaldo, Barbara ha iniziato a giocare a calcio all’età di cinque anni per poi crescere nelle giovanili del Toro. «Ho cominciato nel cortile di casa, con mio fratello Giorgio e mio padre Sergio, grande appassionato. Andavo anche a vedere gli allenamenti di Giorgio, che ha tre anni più di me. Un giorno l’allenatore si avvicina e mi dice: invece di guardare perché non ti alleni? Ero piccola, alla prima partita mi sono messa a piangere. Non volevo giocare, mi sentivo un po’ diversa, erano tutti ragazzi, allora ero molto timida. Dopo molto insistere sono riusciti a buttarmi in campo e non sono più uscita». I genitori l’hanno seguita in Francia con il camper. Padre in pensione, madre che lavora in fabbrica (ha chiesto le ferie), anche loro hanno fatto i sacrifici. «Mi allenavo a 45 chilometri da casa, tre volte a settimana, non c’erano mezzi pubblici, i miei mi accompagnavano e mi aspettavano al gelo. Non sarei qui senza di loro». Barbara, alla Juve dalla stagione 2017, è campione d’Italia, all’università ora studia Economia aziendale. «Ma mi ero iscritta a Ingegneria perché amo la matematica, i numeri. Dopo i primi due semestri però mi sono resa conto che avevo chiesto troppo, conciliare i due impegni era molto difficile». Voleva fare la ballerina, poi ha lasciato, a questo mondiale chiede una cosa sola: vincere. «Non si viene qui per partecipare. Non è presunzione. Io e le mie compagne siamo un bel gruppo, ci aiutiamo, quando eravamo in svantaggio, ci siamo parlate, dopo il pareggio sentivo che potevamo farcela e infatti è cambiato tutto. Se le nostre avversarie saranno migliori di noi sarò la prima a dire brave e a stringere loro la mano». Intanto però i complimenti se li prende lei. La B.B. azzurra, appassionata della serie “Le regole del delitto perfetto”. Come i colpi di testa all’ultimo minuto.
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Manlio Gasparotto sul Corriere della Sera
TORINO Lo schema Bonansea è un classico: mamma Maria Maddalena da una parte, papà Sergio altrove, distante. A casa sono inseparabili, ma il calcio li divide. «Siamo abituati così, da quando i bambini erano piccoli». I bambini sono Barbara, l’eroina dell’esordio azzurro, e il fratello Giorgio. Quando erano piccoli mamma e papà si dividevano per portarli agli allenamenti. «Abbiamo cominciato così, ora continuiamo perché funziona. Solo stavolta eravamo uno a fianco all’altro, ma a fine primo tempo Sergio non ce la faceva più a star fermo. E ci siamo separati». Dov’è andato? «Avrò fatto un paio di volte il giro dello stadio, attraversando i settori per vedere la partita» racconta mentre guida il camper. Ha pianto come ha detto Barbara? «No, ho urlato di gioia. Senza esagerare, ero sicuro, tranquillo. E l’avevo detto che avrebbe fatto due gol». «Ne ha fatti tre — fa eco Maria — perché quel primo annullato...». Centimetri, mica i chilometri che mamma e papà si fanno in questi giorni partendo da Bricherasio, 4mila anime a un’ora da Torino. «L’idea di comprarlo ci frullava per la testa da anni, quando Barbara si è qualificata abbiamo pensato fosse l’occasione giusta». Papà Sergio non ama volare, ma guidare sì: non si sta con le mani in mano. E lui, ex muratore, non sta fermo facilmente.
Giocava? «Sì, ero un difensore». E a 4 anni portava Barbara a vedere gli allenamenti del fratello. Un giorno qualcuno le disse, «vieni, gioca». E quella frase li ha portati a Valenciennes e ora a Reims. «Abbiamo già fatto oltre 1.100 chilometri, giocheranno qui la prossima partita con la Giamaica. E noi nell’attesa andremo a vedere la cattedrale».
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Giulia Zonca sulla Stampa
La linea rossa è la mamma, la linea nera il papà e non c’è linea della fortuna sulla braccia tatuate di Barbara Bonansea perché la ragazza che ha segnato due gol contro l’Australia è convinta che la vita segua la forma che le si dà. La sua è cambiata quando ha incrociato il calcio.
Dalla provincia al Mondiale, dal campo pulcini di Bricherasio, dove inizia la Val Pellice, a 45 km da Torino, a Valenciennes dove le azzurre sono andate in rete 7287 giorni dopo il 2-0 di Paola Zanni contro il Messico, a Foxborough, Massachusetts. Era il 27 giugno del 1999.
Che effetto fa aver riacceso la luce?
«Nel 1999 avevo 8 anni e non seguivo di certo il calcio, non ricordo nulla, sono sincera. Non so neppure se allora si vedessero le partite in tv, ma abbiamo spesso parlato con quella generazione e sono felice che non si sia più fermi lì».
Gol vittoria al minuto 95. Racconti il brivido.
«Gol di testa ed è un colpo che non mi appartiene, infatti non so neppure come sia uscito. Forse perché mi ero imposta di non lasciare nessun pallone, di provarle tutte: a un certo punto ho sentito la panchina australiana che urlava “run” e ho capito di avere spazio, di essere sola. Un’occasione da usare».
I suoi genitori hanno viaggiato in camper da Bricherasio a qui. Li ha visti prima della partita?
«Li ho intravisti allo stadio ma sarebbe stata un’emozione troppo forte incontrarli. Sono certa che papà si sia perso il 2-1, avrà avuto gli occhi chiusi: di solito è così che aspetta la fine delle partite importanti».
Ha vinto il titolo di miglior giocatrice del match.
«Avrà un senso quando passiamo il turno, per ora grazie ma non festeggio nulla. Sono una con piedi per terra, concreta».
Dito in bocca dopo il pareggio. Perché?
«Per la mia nipotina Benedetta appena nata. B&B, Barbara e Benedetta».
La famiglia è fondamentale per lei.
«È tutto, devo a mia madre i primissimi tiri al pallone. Ero una bimba tra i maschi, quando me lo hanno fatto notare mi sono messa a piangere, lei mi ha accompagnato in campo e non sono uscita più».