Libero, 10 giugno 2019
Intervista ad Antonio Di Pietro
Antonio di Pietro, ex magistrato, è nato a Montenero di Bisaccia (Campobasso).
Leggi di toghe, inchieste, lotte di potere, tangenti, populismi e partiti personali e non può che venirti in mente lui, il Tonino nazionale. Dottor Di Pietro, ma che cavolo sta succedendo tra i magistrati? «Che facciamo tutti finta di aver scoperto l’acqua calda». Magistrati che indagano magistrati per condizionare le nomine degli organi direttivi delle Procure e per spartirsi i posti nel Csm, l’istituzione suprema dei giudici: più che acqua calda mi sembra la patata bollente delle toghe… «Tutti cadono ipocritamente dalle nuvole per fatti che sapevano pure le pietre. Come quando scoppiò Mani Pulite e i giornali montarono lo scandalo ma era ben noto che politica e mondo degli affari intrallazzassero». Ma i giudici non sono gli arbitri, i puri? «Arbitro non è sinonimo di puro. Io da magistrato non mi sono mai iscritto a nessuna corrente e neppure all’Anm. Venni pure lodato dal presidente Cossiga per non aver mai fatto uno sciopero. Il giudice che fa politica e sciopera agisce contro la Costituzione». Lei che è un grande inquisitore, ci aiuti a capire: che accade? «I membri del Consiglio Superiore della Magistratura vengono eletti dai colleghi. Sono ruoli importanti e ambiti, perché il Csm decide gli incarichi direttivi di tribunali e procure, pertanto le toghe si organizzano in correnti per nominare gente gradita. Fanno politica. Una volta composto, poi, il Csm si comporta come un piccolo Parlamento: nomina, spartisce, lottizza». Qui però si è passato il segno: i magistrati si indagano per farsi fuori a vicenda… «I paralleli con la politica sono sempre più impressionanti». È una figura di palta… «Tangentopoli produsse un effetto utile: la politica si vergognò così tanto che il Parlamento modificò l’articolo 68 della Costituzione, che impediva di procedere contro i parlamentari. Mi auguro che anche i miei ex colleghi compiano un atto di responsabilità e agevolino la riforma del Csm e della magistratura». Il presidente Mattarella dovrebbe commissariare il Csm? «Non avrebbe senso. Dev’essere il Parlamento a riformare tutto, anche la Costituzione. Mattarella dovrebbe solo dargli una mano». Lei sogna: le toghe se le tocchi mordono. O meglio, indagano… «La maggior parte dei magistrati sono brave persone, quello che sta succedendo evidenzia solo che anche tra loro, come in ogni categoria, ci sono le mele marce». Di Pietro direbbe che il pesce puzza dalla testa, che in questo caso si sta dimostrando marcia… «Quanto accade scredita tutta la magistratura. Nella testa non c’è solo il marcio ma anche tante persone trascinate nel fango per la sete di potere di pochi. Bisogna cavalcarne il disagio per cambiare le regole con il consenso dei giusti». Ha qualche suggerimento? «Sorteggiare i membri del Csm». Come all’oratorio, e la competenza? «Non si può pensare che ci siano magistrati che mettono sotto processo o giudicano ma abbiano deficit di competenza. Le toghe sono competenti per definizione, quindi tutte degne di entrare nel Csm». Del Csm importa solo ai giudici e agli avvocati, ha suggerimenti che interessino più i cittadini? «Fare subito una legge che obblighi i magistrati che vogliono far politica a dimettersi e impedisca di rindossare la toga a fine mandato». Già, ma gli aspiranti politici si fanno la campagna elettorale in toga, prima di candidarsi… «Questo, se accade, è un reato». Che nessuno persegue… «Le ripeto: politica e tribunali devono restare distinti, non devono esistere porte girevoli. E si dovrebbe lasciare la toga definitivamente dopo la candidatura, non solo in caso di elezione, perché se ti candidi vuol dire che già hai una maglietta e non puoi più giudicare». E se anziché candidarti vai a cena con i politici perché agevolino la tua carriera, come emerge dalle inchieste sulle nomine al Csm? «Chi lo fa va allontanato. La scelta dei membri del Csm attraverso le correnti è una patologia, ma se nella trattativa intervengono anche i parlamentari allora la malattia diventa reato perché attenta all’indipendenza della magistratura. Se la scelta dei capi di Procure e Tribunali da parte del Csm segue logiche politiche, il giudice non è libero nel proprio lavoro». Lei lasciò la toga e solo dopo si candidò, ma Tangentopoli le spianò la carriera politica… «Io mi dimisi perché ero indagato e ritenevo impossibile fare l’inquisitore al mattino e l’inquisito al pomeriggio. Tutti i magistrati indagati dovrebbero lasciare la toga, è una questione di incompatibilità interiore, morale». Ma così se sono un pm e voglio sostituire un collega mi basta indagarlo per farlo fuori… «Questo sarebbe un reato». I giudici sono uomini, è già capitato che qualcuno commettesse reati per interesse personale… «Allora facciamo una norma che stabilisce che i pm indagati devono cambiare ruolo, essere assegnati ad altri uffici». Di Pietro, la conti giusta, lei si dimise perché le conveniva… «Vollero fermarmi, ci sono relazioni dei servizi segreti che lo confermano. Avrei fatto molta più carriera restando in toga, mi creda». Ora i grillini sono i nuovi difensori della categoria, che ne pensa? «Penso che il fatto che Grillo, che ho sempre ammirato, si sia eclissato dal Movimento sia significativo di quello che sono diventate oggi le sue creature». Afferrato, pensa che i grillini non capiscano nulla di giustizia. «Ahahahahah. È stato importante che M5S abbia rilanciato i principi di legalità e onestà, ma essi riguardano tutti, non ci devi mettere il cappello, come è avvenuto in campagna elettorale. I grillini strumentalizzano la giustizia per ottenere voti, far dimettere sottosegretari, condizionare il governo: è moralmente e politicamente sbagliato». E poi non capiscono nulla di giustizia… «Io sono d’accordo con l’abolizione della prescrizione, ma la legge del Guardasigilli Bonafede aiuta i malfattori e punisce gli onesti ingiustamente accusati». Ma come Di Pietro, è contro la prescrizione? «Bisogna difendersi nel merito. Se abolisci la prescrizione però devi creare le condizioni perché i processi durino mesi, non decenni». Quindi meglio non abolirla? «Per ora l’abolizione fa danno agli onesti. Come del resto il reato di abuso d’ufficio: è inutile che i grillini lo difendano, così non va». Dà ragione a Salvini: l’abuso d’ufficio andrebbe abolito? «Salvini ha sbagliato a introdurre l’argomento in campagna elettorale e a ridosso di inchieste che hanno coinvolto leghisti, ma nel merito ha ragione, l’abuso d’ufficio così com’è manda assolti i criminali e mette in croce gli innocenti». Mi spieghi… «Per esserci reato deve provarsi la volontarietà dell’abuso, che nei fatti è indimostrabile. Tutti i processi per abuso d’ufficio si concludono senza condanna e con il solo effetto di aver rovinato la carriera a degli innocenti e salvato i colpevoli. Ma la colpa è anche dei magistrati». Notizia: perché? «Io da pm mi comportavo come un becchino, intervenivo a reato consumato, per punire. Oggi i magistrati fanno i medici condotti, agiscono in funzione preventiva, per vedere se forse uno ha commesso o sta per commettere un crimine». Lei dice funzione preventiva, io traduco azione politica… «E io dico di no». Di Pietro, ma lei è un pm o un avvocato? «Faccio l’avvocato, ero un pm». Rispetto ai suoi tempi la categoria è decaduta? «Oggi i magistrati sono molto più preparati di un tempo, anche perché per il 70% sono donne, notoriamente più studiose e scrupolose, e perché è aumentato il livello di specializzazione. L’unica cosa, scrivono un po’ troppe sentenze con il copia-incolla del computer. Questo è un guaio, io scrivevo a mano, ogni parola era meditata, mentre il taglia e cuci, con motivazioni di 400 pagine, produce effetti distorsivi». Io però mi riferivo al decadimento morale. «Certo la loro immagine è peggiorata, la magistratura è un po’ in crisi di credibilità». E la politica? Stanno tornando le inchieste? «Voi avete titolato la “Tangentopoli dei morti di fame”. Io nel ’92 avevo portato alla luce un porcile, oggi parlerei di piccionaia». C’è un’offensiva giudiziaria ai danni della Lega? «No, è semplicemente sotto la lente in quanto al governo». Però Salvini è indagato perché ferma gli sbarchi… «L’inchiesta per sequestro di persona per non aver fatto sbarcare i profughi gli ha dato l’occasione di far intervenire il Parlamento, che ne ha legittimato il comportamento in nome dell’interesse superiore dello Stato». Si stupirebbe se lo indagassero per apologia di fascismo? «Sarebbe un’ingiustizia. L’allarme fascismo è pompato. Non ci sono le condizioni per un ritorno delle camicie nere e Salvini non lo vuole. Certo lui sa parlare alla pancia più che alla testa, ma lo fanno tutti». Perché la sinistra continua ad accusarlo di essere fascista? «Non tutta la sinistra. Chi lo fa è perché non ha argomenti e riesce a far parlare di sé solo attaccando gli altri. Vivo in provincia di Bergamo, dove nove sindaci su dieci sono leghisti: tutta brava gente che cerca di far funzionare il proprio Comune e non ha grilli per la testa». A proposito di grilli, si aspettava il flop di M5S? «È stato un voto di protesta arrivato soprattutto da sinistra per le delusioni del modello Renzi. Ma ogni cosa ha il suo tempo e quello di M5S è in scadenza». Ha fallito la prova del governo? «Mi sa dire cosa hanno fatto di buono i ministri grillini? Parlano solo al futuro, significa che non hanno fatto nulla». Quanto dura il governo? «Quanto vorrà Salvini». Ai grillini non converrebbe andare all’opposizione? «Staccare la spina per i parlamentari M5S equivarrebbe a suicidarsi. Io ho portato un solo Razzi in Parlamento, Grillo ne ha portati 333». Razzi il responsabile? «Ha cambiato schieramento per ragioni di interesse personale ma almeno l’ha detto. In quella legislatura in 159 avevano fatto il salto, ma tutti gli altri avevano motivato il voltafaccia con ragioni nobili. Antonio è stato l’unico sincero». Ma a Salvini non conviene staccare e governare da solo? «Già lo fa. Gli basta minacciare la crisi per mettere Di Maio in riga». Si aspettava il suo successo? «Dalla seconda Repubblica sono nati solo partiti personali: Berlusconi, io, Mastella, Casini, tutti tramontati con l’eclissi del fondatore. Salvini è stato capace di trasformare un partito personale nella nuova destra. Ha portato il Paese sui binari di un futuro bipolarismo: la destra leghista-meloniana e il Pd».