la Repubblica, 10 giugno 2019
Dieci anni fa, Marchionne e una penna biro
Accadde esattamente dieci anni fa. Alle cinque del mattino, ora di Washington. In un piccolo ufficio d’appoggio affittato da Fiat, a pochi passi dal palazzo dove ha sede il Dipartimento del Tesoro americano. La temperatura nella stanza, per effetto dell’aria condizionata, era prossima allo zero, come desiderato dal personaggio chiave, atteso alla firma di uno storico documento. L’allora presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, aveva dato il via libera all’esecuzione dell’accordo. I fogli erano sul tavolo. Alfredo Altavilla e Scott Miller erano ai lati, la sedia al centro riservata a Sergio Marchionne che aveva concepito la fusione, condotto il negoziato, raggiunto l’esito. Tutto era pronto. Si chinò per firmare e solo allora si accorse di aver trascurato un particolare: la penna. Non l’aveva. Chiese ai presenti. Si fece avanti l’outsider, l’ultima arrivata. Si chiamava Anna Tanganelli, aveva 28 anni e lavorava per la banca Ubs. Teneva tra le dita una Bic trasparente, inchiostro blu, con la cartuccia consumata e il tappino masticato. Gliela porse. Qualcuno scattò una fotografia. Marchionne firmò, indugiò, poi sorrise: «Va bene, te la ridò». Lei la riprese, si chinò per raccogliere la borsa del computer che era finita sotto il tavolo e nella foto ufficiale. Rimise la biro nella tasca esterna. La conserva ancora, nel primo cassetto della scrivania del suo attuale ufficio da dirigente. Sul muro di fronte c’è la fotografia di quella mattina. Le ha cambiato la vita. Ogni grande storia ne nasconde una piccola, che la spiega, illumina quei particolari che nella rappresentazione 1:1 sfuggono e invece raccontano tutto, in scala. Fiat & Chrysler = The Manager & The kid. Per scriverla, manca soltanto una penna. Chi ne ha una? Anna Tanganelli aveva preso la strada meno diretta. Figlia di un affermato neurologo genovese, aveva preferito gli studi economici e le analisi finanziarie al sistema nervoso e alle sue patologie. In altri termini: applicazioni pratiche della stessa teoria. Assunta dalla “metabanca” svizzera, nonostante la giovane età era stata coinvolta nell’elaborazione del modello per l’alleanza tra le due industrie automobilistiche italiana e americana. Doveva valutarne la sostenibilità. Quando la vicenda entrò nel vivo fu mandata in America. E lì, con qualche timore, conobbe Sergio Marchionne. Lo ricorda così: «Era un leader e questo dava sicurezza all’organizzazione. Alla prima riunione chiese a tutti che cosa pensassero dell’accordo. Aveva un metodo democratico. Ma a guidarlo erano due valori: etica e meritocrazia. Era un realista. Un negoziatore duro. Credeva nella bontà del progetto, dell’accordo, ma se trovava irragionevolezza sbatteva la porta e se ne andava. È accaduto più di una volta. Ed è stato un insegnamento importante: si possono avere ottime idee, ma se per realizzarle occorre snaturarle, è meglio lasciar perdere e farsene venire altre». Aveva questa fissazione per l’aria condizionata a palla: alle riunioni gli altri andavano mettendosi due maglioni uno sull’altro, in piena estate. Sull’aereo privato accendevano il computer fingendo di lavorare, in realtà per sentire il calore prodotto dal suo funzionamento. Dopo dodici ore di lavoro, tutti a cena, con qualche rituale dettato dal capo. Uno era la fantozziana serie di barzellette, in cui lui raccontava la prima per rompere il ghiaccio. Poi, una sera da Bacco, a Washington, vide una chitarra e chiese a uno dei manager di suonarla. Intonarono di tutto: da Battisti agli 883. Non era epoca di video sfrenati o girati all’insaputa: ma quante condivisioni avrebbe fatto Marchionne che canta “mareneromareneromarenè”? Una certezza, per Anna: «Piaceva agli americani, perché era deciso, ma rispettava le capacità e lo dimostrò con il management Chrysler. Piaceva all’amministrazione: di fatto appoggiarono il progetto perché garantiva lui, scommisero sull’uomo, soprattutto». Obama disse sì, dando via libera alla firma di quell’alba del 10 luglio. Anna Tanganelli era andata a letto alle due. Era tentata di restarci, poi pensò: «Quando mi ricapita?». Vide andare via Marchionne e pensò che non l’avrebbe più rivisto. Invece fu la sua sliding door: si sentì convocare a Torino, benché non fosse esperta di auto. Poi si aprì una posizione in Chrysler e fece il colloquio: con Marchionne, che la conosceva, ma la torchiò per tre ore prima di dare il suo ok. Lo rivide nei lunghissimi corridoi della immensa torre di Detroit. Lui si stupiva dei suoi tacchi e a tutti diceva: «This is the kid with the pen». Nessun equivoco sentimentale, ma quel “kid” viene da Casablanca, da Bogart che guarda la Bergman e le dice: «Here’s looking at you, kid». L’ultima volta si incrociarono ad Arese. Anna era seduta dietro di lui, che stava a fianco di Jean Todt. Si girò a indicarla: «Attento a quella!». Era entrata in Magneti Marelli, dove oggi è direttore finanziario. L’ultimo scambio fu via e-mail. Anna aveva mandato un progetto a più destinatari. Marchionne rispose, soltanto a lei: «Go ahead, kid». Vai avanti. Tu che puoi.