Corriere della Sera, 10 giugno 2019
Una vita da Pozzecco
Da giocatore è stato il Gianburrasca del nostro basket: irrequieto, esplosivo (lo chiamavano la Mosca Atomica e qualcosa di vero c’era), a volte irriverente e indisciplinato. E pure, si narra, animale notturno. Ma sempre e comunque personaggio, uno dei pochi «veri» in circolazione. Amato (molto) e odiato (solo da alcuni: ma si sa, non si può andare bene a tutti). Ora che fa il coach e che ha portato Sassari prima a vincere la Fiba Europe Cup e poi a conquistare la finale scudetto, con una serie di 22 successi in totale sui due fronti, Gianmarco Pozzecco ti spiazza con una frase che ricorda le serpentine con cui ubriacava gli avversari: «Oggi mi gratifica allenare e basta. Ci credete che vado a letto alle 10 di sera?».
Per raccontare la «vita da Poz», e soprattutto per capirla, bisogna però fare un salto a Formentera ed entrare nella sua bellissima villa a centro isola (e se ci capitate fisicamente, vi ospiterà e vi dimostrerà che è un drago tra i fornelli tanto quanto lo era con la palla in mano). Può essere che un giorno se ne vada da lì – «La mia fidanzata, presto moglie, pensa a Palma di Maiorca; invece io sarei più intrigato da Minorca» —, ma il trasferimento non è in agenda a breve e il «buen retiro» continua a essere in un luogo da movida pura che Pozzecco, al contrario, ha imparato a interpretare in altro modo.
«Io vivo principalmente la Formentera invernale, quando le anime diventano poche. Faccio vita da pensionato: film, chiacchiere, qualche amico, la cucina». Ci sta prendendo in giro? Assolutamente no, garantito. Anche perché questo modus vivendi rispecchia un nuovo corso, umano e personale. «Da giocatore facevo casino, mi dipingevo i capelli di rosso, esageravo, tiravo la giacca agli allenatori (ndr: Carlo Recalcati, che oggi definisce «il mio apripista»). Mi ritagliavo sempre uno spazio mediatico, ero un personaggio particolare. Ero sotto i riflettori, era una sfida; ma ci mettevo sempre la faccia ed ero consapevole che per reggere occorreva il supporto dei risultati».
La sfida più bella
La sua Dinamo Sassari da stasera è in finale scudetto (a sorpresa) contro la Reyer Venezia
Ma c’è un’età per tutto: «Non ho più bisogno di una posizione “sociale” per stare bene. La necessità di essere conosciuto e riconosciuto non è più fondamentale: ecco allora la Formentera dell’inverno, dove il mio passato conta di meno e non è conosciuto dai più». Però c’è una nuova «botta di vita» da gestire, grazie alla galoppata con Sassari, che, tra l’altro, riabilita il Pozzecco allenatore visto a Varese e a Bologna («Sono le due piazze del cuore, per me: i risultati non sono venuti per eccessiva passione»).
La risposta è geniale:«Do il 99 per cento del merito ai giocatori – e vi giuro che lo penso – tenendomi l’1 per cento». La disponibilità verso i fan, i selfie, adesso l’invito di un tifoso a casa sua in una sorta di concorso organizzato con la Fondazione Cannavò? Non un caso, ma la norma: «Sono sempre stato così, generoso di natura. Certe cose, poi, ora fanno parte del mio lavoro». Invece l’uomo e l’allenatore sono cambiati parecchio e non tanto per quella barba che il suo staff pretende non tagli più, se serve a vincere. «Continuo a essere molto emotivo, mi commuovo anche cinque volte al giorno pensando alla squadra. Ma non lo dico ai ragazzi, cerco un’emotività positiva: racconto loro aneddoti che potrei raccontare a chiunque. E vi dico già che il momento peggiore non sarà se perderemo, ma quando ci saluteremo a fine stagione». La semplicità in panchina, con una riflessione: «Alleno nello stesso modo in cui avrei voluto essere allenato».