la Repubblica, 10 giugno 2019
La maturità dei 2000
Fermi tutti. Arriva la maturità dei non novecenteschi. Da quando esiste, l’esame di fine ciclo scolastico – al via mercoledì 19 giugno – sarà sostenuto per la prima volta da studenti nati nel ventunesimo secolo. La generazione Z, “i Duemila”, così si chiamano fra loro, i post-Millennials: venuti al mondo quando il lunghissimo “secolo breve” era già un faldone d’archivio. Figli unici cresciuti in famiglie multiple. Destinati, salvo catastrofi planetarie, a un’aspettativa di vita altissima. Più che nativi digitali, hi-tech, arrivati alla coscienza che già c’era Facebook, hanno branchie di serie per l’oceano dei social e della messaggistica istantanea. Festeggiano la stessa età del nuovo millennio; erano nel passeggino l’11 settembre del 2001. Gran parte della distanza da padri, nonni e fratelli maggiori passa per lo smartphone che hanno avuto in mano prima di imparare a leggere. Adesso eccoli qua, ansiosi come i predecessori, pronti a cercare i profili Facebook dei commissari esterni all’Esame di Stato. Giusto per farsi un’idea, spulciando post, fotografie, preferenze. E si preparano a un tema, che magari però non uscirà, con protagonista una ragazza poco più giovane di loro, classe 2003: Greta Thunberg, la paladina dello sciopero scolastico per il clima.
I professori novecenteschi salgono con loro, disorientati, su una scialuppa sballottata dai cambiamenti dell’ultim’ora. Le linee guida per le prove della prossima settimana sono state chiarite (più o meno) un mese fa; e la principale fonte d’angoscia, curiosamente, viene da oggetti vintage: tre buste di carta da cui saranno estratti gli spunti iniziali per il colloquio. La uno, la due o la tre? I docenti più perplessi evocano il televisivo (e dunque, per i nati nel Duemila, preistorico) Rischiatutto. Ma forse — mi dice una prof di Latina, Maria – anche se non sanno chi era Mike, sono loro la generazione più “rischiatutto” di sempre. Perché hanno convissuto «con un senso di precarietà fino a Natale, in attesa che le novità annunciate si definissero, poi con lo stillicidio delle informazioni sul nuovo esame al rientro dalle vacanze; hanno virato bruscamente per riaggiustare percorsi e metodi di studio». Ansia e preghiera. La scuola non sempre c’è, non sempre fa in tempo, ma comunque valuta. E allora? Allegria, scherza la professoressa. Scherzano pure loro in verità, confrontandosi in rete sugli eterni sintomi fisici dell’ansia da prestazione («troppo fumo, colpa di Italo Svevo», fame nervosa, gastrite), o rilanciandosi meme per sdrammatizzare: “Se non becco quella giusta, chiudo la busta” (un po’ di tv allora la guardano!). L’immagine di un rocciatore letteralmente sospeso nel vuoto e la scritta “Come vedi la tua prova di matematica alla maturità”.
Parlando con i docenti, hai la sensazione che anche per loro non sia tanto diverso: «È imbarazzante» mi dice Giancarlo, che insegna nella provincia di Bari. «Noi professori saremmo in teoria quelli che hanno il compito di tranquillizzare gli studenti. Prova a chiedere se c’è qualche insegnante, anche fra quelli che sostengono l’attuale governo, che possa dirsi tranquillo. Ma si può cambiare la maturità ad anno scolastico già iniziato?». «Siamo noi, prof e alunni, a dover inseguire l’esame»: Giuseppe insegna a Pistoia e, rispetto alle novità introdotte, comprese quelle che sulla carta potrebbero essere positive, si chiede se la scuola abbia fornito gli strumenti adatti. Ma una scuola «imbalsamata dalle richieste burocratiche e dalla paura», depauperata sistematicamente e “riformata” a ogni cambio di ministro, non può che sentirsi in affanno. Come se corresse controtempo. Forse po’ all’italiana, mi dice Adonella, docente in un liceo di Roma, i ragazzi del Duemila se la caveranno. Magari confidando proprio nel caos. Ciò che verrà fuori da quelle buste è imprevedibile, comunque. Un po’ come il destino del Paese? Meglio non azzardare metafore impegnative. «Ora i ragazzi ripassano e sperano. Anche che tutto passi al più presto» mi dice Fabiola, docente di italiano e storia in un istituto tecnico di Arona. Un po’ di incoscienza li salverà, anche di fronte alla dea bendata. E comunque, conclude: «Formula nuova, metodi vecchi». Non è con l’effetto-quizzone che si fanno grandi passi avanti. Ma ai ragazzi del Duemila tocca farne lo stesso. La vita, come si dice, li aspetta oltre il cortile di scuola. E li aspetta pure questo secolo coetaneo, che forse li ha già resi un po’ più realisti, di sicuro più concreti, spesso più disincantati di chi ha le radici nel Novecento. Un secolo adolescente, che si mette e li mette alla prova. Frastornato come loro. Come forse nessuno prima, carico di possibilità. E però, dannatamente, costretto troppe volte alla rinuncia, prima ancora di averle viste fruttare.