La Lettura, 9 giugno 2019
Nella biblioteca di Leonardo da Vinci
Alla fine della sua vita, Leonardo possedeva una biblioteca di quasi duecento volumi. Una raccolta che all’epoca era normale per un umanista, piuttosto straordinaria per un pittore o un ingegnere. È noto che lui stesso si autodefinì polemicamente e orgogliosamente un «homo sanza lettere», ossia privo di una regolare educazione scolastica, e sprovvisto della conoscenza del latino, che veniva insegnato a chi intraprendeva le professioni giuridiche e mediche e che all’epoca era indispensabile per leggere i classici. Leonardo rivendicò per il resto della vita questa condizione di illetterato, contrapponendo alla sapienza dei dotti il valore della «sperientia» diretta, la capacità di indagare la natura facendosi guidare unicamente dall’osservazione.
Ora la ricostruzione completa della sua biblioteca personale, realizzata per la prima volta da un gruppo internazionale di specialisti, smentisce queste asserzioni. È vero che non era stato istruito nell’uso del latino, ma cercò di impararlo da solo nel corso degli anni, aiutato dai libri di grammatica e dai vocabolari. E riuscì a leggere Ovidio, Plinio, Livio, Vitruvio e altri nelle prime traduzioni in volgare.
Gran parte di questi libri erano a stampa: incunaboli di formati e tipologie diverse, dalle piccole edizioni popolari di pochi fogli, ai grandi volumi in folio. Alcuni, come il Fasciculo de medicina Johannes de Ketham e la Cosmografia di Tolomeo, erano tra i più bei libri illustrati del Rinascimento. Leonardo li acquistò nel corso degli anni, a cominciare dal momento in cui dal borgo di Vinci, dove aveva vissuto con il nonno, si trasferì a Firenze per entrare nella bottega del Verrocchio. Correva l’anno 1469 e lui aveva diciassette anni. Sapeva leggere e scrivere. Aveva imparato in casa. La sua calligrafia, messa a confronto con quella del nonno Antonio, di professione mercante, e con quella del padre Piero, notaio, rivela che si era esercitato ricopiando la loro scrittura. Perciò deve aver preso subito confidenza con le botteghe dei librai che si affollavano in via del Proconsolo, come quella di Zanobi di Mariano, frequentata anche dal padre di Niccolò Machiavelli.
Nel 1478, come si deduce da una serie di brevi citazioni da lui annotate su un foglio del Codice Atlantico, aveva comunque letto il Trionfo d’amore di Francesco Petrarca, le Metamorfosi di Ovidio e le Pìstole di Luca Pulci, fratello del più celebre Luigi: diciotto lettere d’amore scritte in terzine da personaggi della mitologia.
Nel 1482, quando arrivò a Milano e decise di diventare anche «altore», cioè autore, sentì il bisogno di conoscere il più possibile, e intraprese una caccia ai libri, girando per le tipografie della città e tra i numerosi librai che vendevano incunaboli stampati a Venezia. Fu così che prese corpo una biblioteca ricca e variegata, composta di testi riferiti a tutte le discipline, dalla letteratura alla linguistica, dai trattati di chirurgia a quelli di ingegneria militare, dai manuali di agricoltura alle raccolte di precetti dietetici e igienici, dai testi di filosofia a quelli per l’interpretazione dei sogni, dalle grammatiche latine ai manuali di stile e retorica, dai libri di satira a quelli di aritmetica. Perfino un «libro di medicina di cavalli». Tra gli autori, Dante e Boccaccio, Esopo e Leon Battista Alberti, Poggio Bracciolini e le sue Facetiae, Sebastian Brant e la sua Nave dei folli, Aristotele e Sant’Agostino, Euclide e Archimede, Luca Pacioli e la sua Divina proportione.
L’elenco completo è stato rintracciato negli inventari che Leonardo compilava ogni volta che doveva partire o traslocare. Per non perdere le copie possedute, le elencava in una lista preceduta dalle intestazioni «richordo de’ libri ch’io lascio serrati nel cassone» e «in cassa al munistero», probabilmente quello di Santa Maria Novella, dove nel 1503, per lavorare ai cartoni della Battaglia di Anghiari, occupava l’appartamento del Papa.
La biblioteca andò dispersa dopo la sua morte. L’unico volume identificato è un elegante manoscritto in pergamena, impaginato su due colonne di testi e disegni: la prima redazione del Trattato di architettura e ingegneria, l’opera più importante dell’ingegnere senese Francesco di Giorgio Martini (1439-1501). Realizzato a Urbino tra il 1478 e il 1481, è conservato nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. Sulle pagine si riconoscono dodici postille autografe di Leonardo, che testimoniano il suo attento studio del trattato intorno al 1504. Si può vedere, insieme a preziosi manoscritti e incunaboli presenti negli elenchi da lui vergati, nella mostra Leonardo e i suoi libri. La biblioteca del Genio Universale, curata da Carlo Vecce e aperta fino al 22 settembre presso il Museo Galileo di Firenze.
Applicazioni multimediali consentono non solo di sfogliarli, ma anche di individuare i passi dei codici vinciani nei quali rimangono tracce del loro utilizzo. Provengono da numerose istituzioni italiane che ne hanno autorizzata anche la pubblicazione online nella biblioteca digitale del museo. Dopo Firenze, la mostra sarà a Roma e a Berlino.