La Lettura, 9 giugno 2019
Trent’anni di fusione fredda
All’una di pomeriggio del 23 marzo 1989, all’Università dello Utah, negli Stati Uniti, una conferenza stampa annuncia i rivoluzionari risultati ottenuti dal chimico americano Stanley Pons e dal collega britannico Martin Fleischmann. Con un «esperimento semplice» i due avrebbero ottenuto «una reazione di fusione nucleare a temperatura ambiente», dall’enorme potenziale per la produzione di energia. La notizia desta scalpore in tutto il mondo (la Cbs la mette in apertura del tg serale): nasce la cosiddetta «fusione fredda». Anche gli ambienti scientifici entrano in fibrillazione. I due non sono affatto degli sconosciuti. Fleischmann, in particolare, è membro della Royal Society ed è considerato uno dei maggiori esperti di elettrochimica. Tuttavia non è facile capire come i due abbiano realizzato quell’esperimento in apparenza semplice. Infatti non c’è ancora un articolo pubblicato su una rivista scientifica.
Uno dei motivi è la competizione tra Pons e Fleischmann e un fisico di un’altra università dello Utah, Steven Jones, che sta facendo esperimenti affini. I due team avevano in realtà concordato un appuntamento all’aeroporto, in una scena che pare presa da un romanzo di Le Carré, per spedire insieme i rispettivi articoli; l’accordo è saltato quando l’università ha fatto pressione per l’annuncio immediato alla stampa. Così i ricercatori più impazienti di rifare l’esperimento devono affidarsi solo alle immagini viste in tv e alle dichiarazioni di Pons e Fleischmann. Nel giro di qualche giorno, una bozza dell’articolo inizia a circolare via fax e email – anche questa è una novità. Alcuni colleghi sollevano dubbi, ma nelle settimane successive all’annuncio iniziano ad arrivare le prime conferme da istituzioni importanti tra cui Texas A&M e Georgia Tech. In poco tempo si contano oltre sessanta annunci di risultati simili a quelli di Pons e Fleischmann, tra cui anche uno da Stanford. Pons riceve un’accoglienza trionfale al meeting dell’American Chemical Society; il governo dello Utah assegna un finanziamento di cinque milioni di dollari, chiedendone altri venticinque al governo federale.
Tra fine aprile e inizio maggio, tuttavia, la situazione cambia. Al congresso dell’American Physical Society prevalgono le critiche e le relazioni di chi non è riuscito a ottenere risultati provando a rifare l’esperimento. Jones, inizialmente «concorrente» di Pons e Fleischmann, chiede davanti alle telecamere addirittura «un voto di sfiducia» sulla ricerca dei colleghi, ottenendo otto voti favorevoli e un astenuto. Un fisico li accusa di «incompetenza e illusione». La rivista scientifica «Nature» pubblica un duro editoriale in cui stigmatizza la pratica di annunciare risultati alla stampa prima che siano pubblicati.
Risultato: così come era balzata in primo piano, la fusione fredda esce di scena, e i due protagonisti finiscono ai margini. O quasi. Perché alcuni ricercatori e finanziatori restano interessati al tema. Tra questi il laboratorio francese Imra del gruppo Toyota, che finanzia le loro ricerche con circa 15 milioni di dollari fino al 1998. E oggi Google, che negli ultimi tre anni ha sostenuto con circa 10 milioni di dollari un team di 30 ricercatori impegnati in tre diversi esperimenti. Nessuna traccia di «fusione fredda» ma interessanti progressi nelle tecniche di misurazione e nello studio dei materiali, sostengono gli autori.
Quali lezioni ci ha lasciato, a trent’anni di distanza, una vicenda così clamorosa? Per alcuni resta un esempio positivo della capacità della scienza di autocorreggersi. Per altri, come Philip Ball, all’epoca appena arrivato a «Nature», «gli scienziati che annunciano risultati controversi non dovrebbero essere giudicati così rapidamente e severamente. Chi fa un errore dovrebbe poter fare marcia indietro senza cadere in disgrazia». Senza dubbio la fusione fredda segna anche un punto di non ritorno sul piano comunicativo: i ritmi della scienza non sarebbero più stati quelli tradizionali della pubblicazione e discussione tra colleghi, ma quelli frenetici degli annunci davanti alle telecamere e via internet.