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 2019  giugno 09 Domenica calendario

Ritratto di Steve Bannon

Occhi color bourbon con ghiaccio, fisico massiccio, capello fluente, eloquio ad alta gradazione populista, Steve Bannon ha conquistato l’America con Donald Trump, che lo chiamava “il mio sciattone” per via delle camicie scure senza cravatta e della pancia. Poi quella ruvida America sbarcata alla Casa Bianca l’ha persa malamente, per ritrovarla in sedicesimo qui da noi, nell’Italia gialloverde, dove ancora i sovranisti di nuovo conio longobardo lo prendono sul serio. Anzi lo trattano da guru della comunicazione. Nonché bandiera del patriottismo contro le ondate dei migranti straccioni che mirano al cuore bianco e puro del vecchio mondo per dissolverlo nel baratro multiculturale di quello nuovo.
Peccato che le odiose élite della curia romana lo abbiano appena cacciato anche dalla Certosa di Trisulti, monastero del XIII secolo, che lui voleva trasformare in una “Scuola di gladiatori” per difendere nientemeno che “le radici giudaico cristiane dell’Occidente”. Compito fino a oggi egregiamente svolto dall’ultimo monaco certosino di anni 83 che ancora abita le antiche mura a presidio della bella e cristiana Ciociaria, località Collepardo.
Steve s’è battezzato street fighter, combattente di strada, “rivoluzionario”. I suoi nemici, invece, lo chiamano “razzista, prepotente, xebofobo”. Passa per un genio della propaganda informatica, ma gioca sporco con le notizie capovolte. Usandole ha issato mister Trump in cima all’America, dopo avere bruciato nell’urna l’effigie di Hillary Clinton, detta “la corrotta”, “la bugiarda”, la strega delle cene sataniste, la spia degli arabi, l’elegante marionetta nelle mani dei depravati miliardari di Wall Street. Che chissà come sono gli acerrimi nemici del patriota miliardario Trump, uomo della provvidenza evangelica, cresciuto sui prati dei golf club e tra le bionde del jet set, ma arruolatosi in politica nella esclusiva difesa del popolo. Quello dei loser, i perdenti senza più identità, che sognano le radici e la rinascita. Cioè a dire gli americani bianchi impoveriti dalla crisi economica del 2008 e dai complotti dei banchieri, dalla globalizzazione liberal e dalle fiacche nazioni sguarnite di frontiere, dai politici senza palle e dalle élite senza cuore. Dentro le quali Trump ha moltiplicato la sua ricchezza, il suo ego e ora il suo potere.
“Bannon è una persona altamente qualificata che ama vincere e sa come farlo”, disse di lui Trump quando gli affidò le chiavi della sua campagna elettorale. Era l’estate del 2016. La Clinton era in testa ai sondaggi. Talmente in alto che tutti i rancori della nazione erano pronti a coalizzarsi contro di lei, bastava mettere in moto gli ingranaggi giusti. Per esempio usando i 50 milioni di profili Facebook ottenuti illegalmente da Cambridge Analytica, dove Bannon sedeva nel consiglio di amministrazione. O le email della Clinton svelate da Wikileaks che secondo Trump “avevano messo in pericolo la sicurezza nazionale”. E siccome anche gli asini volano se lo ripetono migliaia di siti nella piena luce del web e lo leggono milioni di cittadini nel buio delle loro solitudini, Bannon compì il miracolo. Confermandosi, secondo l’agenzia Bloomberg “l’attivista politico più pericoloso d’America”. Ma anche quello che la conosceva meglio, in grado di misurare la temperatura delle sue vene profonde, e la fragilità dei suoi nervi in superficie.
Stephen Kevin Bannon, detto Steve, nasce nel 1953 in una famiglia che non ti aspetti: irlandese di origine, cattolica, democratica, padre operaio che fa propaganda porta a porta per Kennedy, madre casalinga, terzo di cinque figli. Radici nella verdeggiante Virginia. La scuola con buoni voti, la chiesa alla domenica, con messa in latino, secondo tradizione. Poi il college e l’Accademia militare a Richmond, i primi imbarchi in Marina, i due anni nel Pacifico a bordo di un cacciatorpediniere “a dare la caccia ai sommergibili nucleari sovietici”, come raccontò con una certa enfasi. In realtà passando interi mesi a fare niente, leggendo libri buddhisti e giocando a basket sul ponte della nave, “senza passare mai la palla”.
Quando i ragazzi della Delta Force falliscono la liberazione degli ostaggi americani sequestrati a Teheran dai guardiani della Rivoluzione di Khomeini, anno 1979, Bannon naviga nel mare arabico. Gli prudono le mani, ma non succede niente, tranne l’umiliazione della sconfitta. Per lui è uno choc e una rivelazione: “Vidi la debolezza di Carter” che “mandava a puttane l’America”. E quando sorge l’astro repubblicano di Ronald Reagan, il suo cuore ex democratico, si illumina per sempre. E cambia vita. Sbarca dopo sette anni. Si iscrive alla Business School di Harvard, dove impara a maneggiare numeri, informazioni e soldi. Lavora “100 ore la settimana” per la Goldman Sachs, la banca d’affari. Cavalca gli anni 80 diventando ricco. Ma quando Wall Street “si trasforma in un casinò”, cioè “in un posto totalmente ingiusto”, il suo liberismo compassionevole si ribella. O almeno così la racconta, visto che si trasferisce a Hollywood dove impara a destreggiarsi tra “gli stupidi irresponsabili” che si scambiano Studios, star, giacimenti di film. Lui compra, vende, incassa come fosse a Las Vegas. Produce una quarantina di film, compreso uno sul suo eroe, Reagan, la sua vittoria contro il comunismo. Che dopo l’11 settembre assume una nuova luce: “Unimmo i puntini: quella lotta ora somigliava a quella dell’America contro l’Islam”.
L’ultimo passo della sua lunga formazione, lo compie nel 2005 quando vola a Hong Kong per entrare nel business dei videogiochi di ruolo, dove traffica in mondi abitati da elfi, draghi cattivi, cavalieri buoni per milioni di clienti paganti e sognanti. È lì che misura quanto sia attraente per il vasto pubblico di adulti-bambini semplificare i labirinti della vita nella eterna lotta tra il bene e il male. Tra il principe e la strega, tra i nativi e i barbari invasori.
Quando rientra in America è la stagione dei Tea Party, la destra fondamentalista che si batte contro il “genocidio degli aborti”, ma difende il mercato delle armi, ultracattolica, ma anche aggressiva contro tutte le minoranze. Dopo avere letto René Guenon, occultista francese e Julis Evola, esoterico teorico della superiore razza ariana, è convinto che l’Occidente viva nell’Era Buia. E dunque qualunque mezzo è legittimo per ridare luce alla nostra civiltà assediata. Per quattro anni dirige il sito Breitbart News che fabbrica notizie di propaganda per l’ultradestra, teorie cospirazioniste, bugie come l’origine non americana di Obama, moltiplicate dagli eserciti di troll.
Quando Trump vince promettendo soldi per vivere e muri per non morire, Bannon neanche ci crede. Entra nella stanza ovale da chief strategist, e siede alla destra del capo. Ma perde tutto quando confida al giornalista Michael Wolff che la Casa Bianca è diventata un “covo di vipere”, che Trump è considerato “un idiota” e sua figlia Ivanka “stupida come un mattone”. Trump lo caccia e se la gode: “Quando l’ho licenziato si è messo a piangere e a implorare. Peccato che adesso si ritrovi solo come un cane”.
Ma Steve non è affatto solo. Ha avuto tre mogli, tre figlie, tante vite. E ora ha trovato il nuovo nemico e il nuovo ingaggio, l’Europa.
Ha attraversato l’oceano. Ha abbracciato la Brexit di Nigel Farage. Danzato con Marine Le Pen contro Macron. Ora marcia con Matteo Salvini e Giorgia Meloni contro Bruxelles. Voleva istruirli nella scuola dei gladiatori, ma il suo portaborse Benjamin Harnwell – un tizio convinto che “Mussolini abbia salvato l’Italia” – si è dimenticato di pagare i 100 mila euro di affitto. È di sicuro più furbo del compratore della Fontana di Trevi. E anche più consapevole della sua missione. Quando un giornalista gli disse che le sue vittorie erano degne di Hollywood, lui scosse la testa: “Fratello, Hollywood non fa film in cui vincono i cattivi”.