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 2019  giugno 09 Domenica calendario

Marco Giusti pazzo per il trash. Intervista

Nel 2000 Marco Giusti aveva appena pubblicato un libro su cinema trash, b-movie e non solo, si chiamava Stracult e il direttore di Rai2 era Sal Mineo. Nel senso che quello era l’alias che si era dato Carlo Freccero – in una Rai2 memorabile ma vagamente in senso opposto a quella attuale. Freccero, quindi: che volle un programma tv su quelle cose e lo firmò appunto Sal Mineo, lasciando Giusti libero di navigare dentro un ruolo che esaltava il cinema detestato dai benpensanti a vario titolo, che adorava Tomas Milian e Bombolo, ma anche Sergio Leone – a cui si pensava di dovere un risarcimento - in un luogo di nicchia televisivo che magari sarebbe vissuto una stagione o due. Stracult ha invece appena chiuso la sua ventesima edizione e la ricorrenza viene celebrata in questi giovedì fuori stagione con puntate speciali: si è partiti con Dino Risi, si andrà avanti con cose di montaggio di epoche storiche per il cinema di genere. La missione, adesso che Stracult è uno show con uso di musica live e conduttori sbarazzini (Fabrizio Biggio e Andrea Delogu), però non è cambiata di una virgola.
Giusti, lei sarebbe un critico anche serio, ma Stracult è la sala dei giochi di sempre e guai a chi la tocca. O no?
«Siamo passati attraverso sette direttori di rete, è un bel record. È l’eterna lotta con i cultori del cinema d’autore, quello che dagli anni 80 in avanti ha prodotto al massimo una serie di piccoli Nanni Moretti. Noi stiamo con l’altro cinema».
Definito: di genere. Anche se come definizione da noi non è mai stata granché popolare e usata.
«Ovvio, una volta non avrebbe avuto senso, il cinema di genere era nelle cose, era l’industria che mandava avanti l’intero baraccone e che, soprattutto, vendeva all’estero. E dentro poteva esserci di tutto, dal western nobile al poliziottesco. Poi certo, gli autori. E chi li tocca? Però guarda caso, adesso c’è fuori Bellocchio con un film di genere, e sta andando meglio di qualunque suo film precedente».
Ma è ancora una battaglia ideologica o cosa?
«È la lotta per riconoscere il ruolo della produzione media, o medio-piccola, ma che ha fatto la fortuna del nostro cinema».
Ma non ha significato vivere in una bolla? Esempio: vi divertite un sacco con il cinema scollacciato degli anni 70, quando arriva un fenomeno come il Metoo, che fate?
«Non scherziamo, quelle sono cose serie e io sono anche uno storico della materia cinema e di quello che ci gira intorno. Dopodiché vado pazzo per il trash, non posso farci nulla. Non so se c’entra, ma mi vengono in mente certe polemiche di giornali di estrema sinistra degli anni 70, sostenevano che per come i cosiddetti grandi autori trattavano la questione femminile, a quel punto erano meglio Nando Cicero, Mariano Laurenti e le commediacce. Di che stiamo parlando?».
Di Stracult, appunto: che in teoria ormai è uno show in piena regola.
«Ammetto di rimpiangere la fase più nerd, quando era tutto un lavoro di studio e montaggio. Ma è giusto così, ci divertiamo e poi passiamo troppo tempo a litigare. Due fazioni opposte: quelli che vorrebbero solo il passato e parlarne all’infinito e quelli che cercano dentro il cinema attuale una continuità».
Lei sta coi secondi.
«E funziona. Abbiamo detto di quando eravamo maestri del cinema di genere che si vendeva all’estero: e oggi che succede? Prenda la serie Gomorra . È il western fatto a Napoli.
Piace tantissimo all’estero, guarda caso. L’amica geniale ? È un melodramma, no? Idem. E Sollima chiamato in America a fare quel cinema, e Guadagnino che fa Suspiria. Ce lo vogliamo mettere in testa che sappiamo fare soprattutto queste cose?».