Giusti, lei sarebbe un critico anche serio, ma Stracult è la sala dei giochi di sempre e guai a chi la tocca. O no?
«Siamo passati attraverso sette direttori di rete, è un bel record. È l’eterna lotta con i cultori del cinema d’autore, quello che dagli anni 80 in avanti ha prodotto al massimo una serie di piccoli Nanni Moretti. Noi stiamo con l’altro cinema».
Definito: di genere. Anche se come definizione da noi non è mai stata granché popolare e usata.
«Ovvio, una volta non avrebbe avuto senso, il cinema di genere era nelle cose, era l’industria che mandava avanti l’intero baraccone e che, soprattutto, vendeva all’estero. E dentro poteva esserci di tutto, dal western nobile al poliziottesco. Poi certo, gli autori. E chi li tocca? Però guarda caso, adesso c’è fuori Bellocchio con un film di genere, e sta andando meglio di qualunque suo film precedente».
Ma è ancora una battaglia ideologica o cosa?
«È la lotta per riconoscere il ruolo della produzione media, o medio-piccola, ma che ha fatto la fortuna del nostro cinema».
Ma non ha significato vivere in una bolla? Esempio: vi divertite un sacco con il cinema scollacciato degli anni 70, quando arriva un fenomeno come il Metoo, che fate?
«Non scherziamo, quelle sono cose serie e io sono anche uno storico della materia cinema e di quello che ci gira intorno. Dopodiché vado pazzo per il trash, non posso farci nulla. Non so se c’entra, ma mi vengono in mente certe polemiche di giornali di estrema sinistra degli anni 70, sostenevano che per come i cosiddetti grandi autori trattavano la questione femminile, a quel punto erano meglio Nando Cicero, Mariano Laurenti e le commediacce. Di che stiamo parlando?».
Di Stracult, appunto: che in teoria ormai è uno show in piena regola.
«Ammetto di rimpiangere la fase più nerd, quando era tutto un lavoro di studio e montaggio. Ma è giusto così, ci divertiamo e poi passiamo troppo tempo a litigare. Due fazioni opposte: quelli che vorrebbero solo il passato e parlarne all’infinito e quelli che cercano dentro il cinema attuale una continuità».
Lei sta coi secondi.
«E funziona. Abbiamo detto di quando eravamo maestri del cinema di genere che si vendeva all’estero: e oggi che succede? Prenda la serie Gomorra . È il western fatto a Napoli.
Piace tantissimo all’estero, guarda caso. L’amica geniale ? È un melodramma, no? Idem. E Sollima chiamato in America a fare quel cinema, e Guadagnino che fa Suspiria. Ce lo vogliamo mettere in testa che sappiamo fare soprattutto queste cose?».