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 2019  giugno 09 Domenica calendario

Intervista a Pietro Castellitto

Se vuoi davvero una cosa, alla fine riesci a ottenerla. Animato da questa vigorosa convinzione, Pietro Castellitto, classe 1991, ha metabolizzato il suo ruolo di figlio d’arte e ora, dopo i primi passi d’attore (ha appena vinto il «Premio Biraghi» per la migliore rivelazione dell’anno, grazie all’interpretazione di Secco nella Profezia dell’armadillo), è pronto per l’esordio dietro la macchina da presa con I predatori, scritto a 22 anni, quando aveva deciso di smettere con la recitazione: «Pensavo di girarlo allora, poi è successo che mi abbiano chiamato per la Profezia, avevo già fatto un sacco di provini, non ne potevo più, e invece alla fine mi hanno preso. Ho ricominciato a recitare e, siccome è andata bene, anche quello che avevo scritto a suo tempo, è risultato più interessante».
Di cosa parla «I predatori»?
«È la storia di due famiglie molto diverse fra loro che s’incrociano nella Roma di oggi. Un film corale, di cui sono anche interprete, al 25%. Nella scelta del cast ho cercato di svincolarmi dai soliti nomi, volevo fare i conti con l’umanità delle persone e ho scoperto, per esempio, di trovarmi benissimo con i comici. Girerò per sei settimane, il film sarà pronto l’anno prossimo».
Che timori ha nell’affrontare la prima regia?
«Era quello che davvero volevo fare, la regia richiede talmente tanta fatica che non hai tempo per provare paura».
Perché aveva deciso di abbandonare la recitazione?
«L’attore sta sempre un po’ a ricasco, e poi avvertivo forti i pregiudizi. Ho sentito nei miei confronti una grande severità di giudizio, ero molto giovane e avevo la sensazione di essere valutato come se fossi un attore di 35 anni. Mi dava fastidio sapere che tanti mi giudicassero pensando che facevo quel mestiere solo perché mi ci ero ritrovato. Non era vero, anzi, ho combattuto per fare altro».
Infatti si è laureato in Filosofia. Perché questa materia?
«Mi è sempre piaciuta molto, la filosofia offre risposte ai dubbi che ti vengono quando sei bambino, quelle domande enormi tipo “se vado sempre dritto nel cielo, alla fine che succede, tocco un muro?”. La filosofia permette di vivere più liberi, di staccarsi dalle consuetudini delle mode che, alla fine, ti rovinano il carattere. A un certo punto ho trasferito la stessa passione che avevo per la play-station nella lettura di Nietzsche».
Oggi si sente del tutto sollevato dal peso dell’essere figlio di Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini?
«Sì, ma in realtà mi ci sono sempre sentito, semmai erano gli altri che mi avevano fatto avvertire quel carico».
Che rapporto ha con i social?
«Sono stato uno fra i primi a levarmi da Facebook, ho capito che non faceva per me, non ero in grado di controllarlo, mi irritavano certi atteggiamenti. Adesso sto abbastanza su Instagram, mi piace l’idea che si possa comunicare attraverso una foto, in modo autonomo, senza filtri. I social offrono la possibilità di esprimere in modo istantaneo l’immagine che di se sessi si vuole dare».
Che cosa dice suo padre Sergio del debutto alla regia?
«Scherza. Quando faccio una cazzata a casa dice “non so questi come possano fare a darti in mano un film”. E invece per me è proprio importante dirigere la storia che ho scritto, magari sbaglierò tutto, ma sono convinto che si impari sbagliando».
La sua è la generazione dello streaming e delle serie tv.
«Spero che il mio film sia visto in sala, ma è anche vero che, per tanti film, in sala o su piattaforma, non cambia granché. Certo, le due ore in sala contano come esperienza esistenziale. Il futuro del cinema è nel miglioramento della loro qualità. A Londra, a Portobello Road, c’è l’«Electric», un cinema con i divanetti, il bar, sembra di stare negli Anni Venti». 
Le sue serie preferite?
«Prima ne vedevo molte, ora ho un po’ smesso, le mie preferite sono I Soprano e Breaking Bad, insuperabile».
Tra i registi stranieri chi ama di più?
«I miei grandi idoli sono Scorsese, Allen, Lars von Trier, Spielberg. E poi adoro Robin Williams, la sua bellezza stava nella fragilità, il modo con cui se ne è andato non mi ha meravigliato».
Vede i film di suo padre?
«Fino a 7 anni non ho mai voluto vederli, davo per scontato che fossero noiosi».
E i romanzi di sua madre li legge?
«Li leggo, ma sempre un po’ di tempo dopo che sono usciti, mettendo una distanza».