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 2019  giugno 09 Domenica calendario

Biografia di Frances McDormand

La cosa al mondo che la infastidisce di più è parlare degli Oscar, eppure ne ha vinti due. Frances McDormand ritiene che i premi non abbiano alcun senso, e in campo artistico siano addirittura dannosi. Guai poi a parlarle della cerimonia, «interminabile noiosa e fasulla».
Sono in molti a pensarla come lei, ma Fran, come la chiamano gli amici, lo dice apertamente, aggiungendo «e poi le scarpe fanno troppo male». Nella sua bella casa nell’Upper West Side le due statuette sono quasi nascoste, come quelle vinte dal marito Joel Coen, e ogni dettaglio dell’arredamento tende all’essenzialità. 

È una donna spiritosa, imprevedibile e assolutamente diretta: non l’ho mai sentita fare un complimento insincero o risparmiare una critica, specie con le persone più vicine. «L’amicizia impone la sincerità», spiega, «anche quando fa male», e basta frequentarla per pochi minuti per capire come ogni sua scelta nasca da una concezione etica. Si definisce pagana, e ama festeggiare i solstizi e gli equinozi: lo fa con una punta d’ironia, però, perché si tratta di una decisione nata dal rigetto di ogni religione, ed è la prima a non volere che divenga una fede. 
Ama il corpo in ogni fase della vita: inorridisce quando vede qualcuno che si sottopone a una chirurgia plastica, e appartengono alla leggenda hollywoodiana le discussioni con colleghi di entrambi i sessi che hanno fatto quella scelta: «Io ho una faccia di gomma, e mi ha aiutato e servito in ogni occasione, specie ora che invecchio, perché ho ancora con me intatta la mappa della vita, e posso ancora usarla come voglio». Ti guarda con sospetto quando la definisci femminista, perché non ama le etichette, ma crede fermamente nella bellezza dell’universo femminile: «Sono le donne a salvare il mondo», afferma con una punta di tenerezza, e non perde occasione per difenderne in ogni modo la dignità, senza mai diventare un’estremista. 
L’intensità delle sue interpretazioni è straordinaria, grazie a un formidabile talento istintivo che negli anni è riuscito ad arricchire di una grande tecnica: si contano sulla punta delle dita le interpreti che riescono a passare con analoga naturalezza dalla commedia al poliziesco, dal dramma al film in costume. I suoi personaggi sarebbero inconcepibili senza di lei, ma il segreto grazie al quale riesce a renderli unici è che li ama sino in fondo: ha la capacità delle grandi attrici di impadronirsi completamente della scena che recita, e riesce a dare il meglio di sé nei film di Joel e del fratello Ethan, e in quelli ispirati al loro stile, come Tre manifesti a Ebbing, Missouri. 
Ci siamo conosciuti nel 2001, in occasione di una retrospettiva su Anna Magnani che avevo curato per il MoMA. «Sono Frances McDormand, un’attrice», mi disse al telefono, e non c’era alcuna finta modestia. «Vorrei chiederle se è possibile vedere L’amore», aggiunse, e si riferiva al magnifico film nel quale Nannarella interpreta una donna convinta di portare in grembo Gesù. 
Riuscii a organizzare una proiezione, e Fran si presentò con tutta la compagnia con la quale stava recitando a teatro: «Anna è la più grande», spiegò a tutti, e chiamò per nome la Magnani come se fosse un’amica a cui essere grata, prima di studiare con attenzione anche il ruolo del seduttore, un pastore che per la protagonista è san Giuseppe. Rimase molto divertita quando scoprì che lo interpretava Federico Fellini, ma si commosse sino alle lacrime per quella povera donna: «Un’idiota come l’avrebbe inteso Dostoevskij», disse. Risposi che trovavo struggente la sua illusione di essere la madre di Cristo, ma lei mi disse senza battere ciglio: «Non è un’illusa, ha ragione, tutti i bambini sono Gesù». Non ho mai sentito una risposta più profondamente religiosa da parte di un’atea, e non ho mai avuto il coraggio di chiederle se il materialismo professato con veemenza abbia una relazione con il fatto che il padre adottivo fosse un pastore protestante. 
Il suo vero nome è Cynthia Ann Smith, e la madre biologica è greca: Fran si riferisce a quest’ultima definendola una «white trash», ed è l’unica persona al mondo che ho sentito usare quel termine con orgoglio. Venne data in adozione quando aveva soltanto un anno e mezzo, ed è probabile che la mamma frequentasse la chiesa prima che i nuovi genitori cominciassero a girare per l’America. Insieme a Joel ha deciso a sua volta di adottare un bambino originario del Paraguay, e antepone ogni scelta lavorativa al suo Pedro McDormand Coen, sostenendo che «la cosa più difficile è trovare l’equilibrio tra il tempo da dedicare ai figli e la libertà che è necessario lasciagli». 
Ha scoperto nell’adolescenza la passione per la recitazione, e dopo essersi laureata in quella straordinaria fucina di talenti che è la Yale School of Drama si è trasferita a New York, dove divideva una stanza con Holly Hunter. La grande occasione avvenne per caso: l’amica, incinta, non riuscì ad andare a un provino e le suggerì di sostituirla. Fu proprio Fran a vincere il ruolo da protagonista per un noir diretto da due fratelli del Minnesota che esordivano nella regia. Blood Simple - Sangue facile diventò un film di culto e in quella occasione nacque anche l’amore con Joel Coen. È stata lei a spingere perché Joel e Ethan prendessero l’amica Holly come protagonista per il film successivo, ritagliando per sé un ruolo marginale, a cui ha dato il soprannome della sorella, Dot. 
Erano anni difficili, e quando fu costretta a vivere a Los Angeles divise l’appartamento con Joel, Ethan, Holly Hunter, Sam Raimi e Scott Spiegel. Un periodo che ricorda con affetto, pur non amando quella città: ha sempre preferito New York, anche se negli ultimi anni passa gran parte del suo tempo a Bolinas, nella California del Nord. Nel giro di poco tempo Hollywood si accorse dell’originalità del suo talento, e assieme a interpretazioni memorabili come la donna abusata dal marito in Mississippi Burning - Le radici dell’odio si è divertita in blockbuster come Transformers o prestando la voce in un episodio dei Simpson. 
Il suo eclettismo è evidente anche nelle scelte teatrali: è una delle colonne portanti di una compagnia d’avanguardia come il Wooster Group, ma ha calcato il palcoscenico con ruoli diversissimi quali Stella nel Tram che si chiama desiderio e Fedra, vincendo anche un Tony per Good People. Ancora oggi sostiene di preferire il teatro, e a volte hai la sensazione che lo dica per prendere in giro il marito, che invece ritiene imprescindibile il mezzo cinematografico. È impressionante la differenza di carattere: Joel è taciturno almeno quanto Fran è veloce ed espansiva, e negli incontri pubblici lui le lascia volentieri lo spazio. 
Pochi giorni fa, per preparare una versione cinematografica del Macbeth, mi ha invitato a visionare con loro L’imperatrice Scarlatta, e l’ho vista rimanere ammaliata dalle movenze di una diva diversissima quale Marlene Dietrich. Il suo metodo di lavoro parte proprio dallo studio del cinema: per il personaggio di Mildred in Tre manifesti, che le ha dato il secondo Oscar, ha analizzato addirittura John Wayne, mentre si rifiuta di rivelare il segreto di Marge, l’indimenticabile poliziotta di Fargo che le assicurò la prima statuetta. 
Da qualche anno ha cominciato anche a produrre, per essere certa di scegliere i ruoli che le interessano: è riuscita a rendere struggente l’aspra Olivia Kitteridge, creata dalla penna di Elizabeth Strout, e si può solo esultare sapendo che ha acquistato i diritti di Donne che parlano di Miriam Toews. «Non esiste nulla più bello di una donna», ti dice mentre pensa quanto siano diversi tutti questi ruoli, «ma se perde la sua ironia rischia di perdere il suo mistero».