La Stampa, 9 giugno 2019
Luca Delfino confessa altri omicidi
Al compagno di cella ha confessato d’aver ucciso un uomo in carcere, sebbene quel caso fosse stato rubricato a suicidio. Poi si è tradito sull’omicidio di una ex, Luciana Biggi di 36 anni, avvenuto nel 2006 a Genova, per cui era stato assolto data l’insufficienza di prove. E in seguito ha genericamente fatto cenno ad altre morti sospette delle quali sarebbe stato protagonista, ancorché la giustizia italiana lo abbia condannato finora per un solo episodio: si tratta del massacro della trentenne Maria Antonia Multari, che lo aveva lasciato e lui perseguitava, compiuto a Sanremo nel 2007 mentre era a piede libero.
La legge sullo stalking
Per questi motivi a Firenze (la principale ammissione riguarda il penitenziario di Sollicciano) è stata aperta una nuova inchiesta a carico di Luca Delfino, 42 anni, ex barista, dalla cui vicenda nacque tra le polemiche Viminale-magistratura la legge sullo stalking. Il sospetto è che sia un serial killer, ma gli accertamenti risultano molto complessi, riguardando un fatto per cui ha un’assoluzione definitiva (Genova) o che le forze dell’ordine hanno già accantonato una volta (Firenze). Non è escluso quindi che i magistrati toscani, davanti a indizi fondati ma senza prove inconfutabili, rimettano nelle mani d’un giudice la scelta se proseguire o meno, tecnicamente con un’articolata richiesta d’archiviazione.
Questa è infatti una fase cruciale per il futuro di Delfino. I 16 anni e 8 mesi inflitti in rito abbreviato per l’orrore del 2007, ottenuti vari bonus per la buona condotta, si stanno esaurendo e ha già chiesto permessi affiancato dal legale Riccardo Lamonaca.
Il tribunale nel riconoscergli la seminfermità mentale si era cautelato, imponendogli un successivo quinquennio in ospedale psichiatrico giudiziario, rinnovabile se fosse risultato pericoloso. Ma quei ricoveri non esistono più, sono stati sostituiti da strutture prive di polizia e insomma: non è chiaro quale strada si potrebbe intraprendere laddove ci si trovasse di fronte all’opzione di liberarlo, in attesa di capire che piega prenderanno i nuovi accertamenti. Per orientarsi occorre ripartire dall’interrogatorio di Fabricio Montiel, ecuadoriano di 28 anni, avvenuto nella prigione di Genova Pontedecimo il 21 giugno 2018.
Ha diviso la cella con Delfino, che di lui s’era invaghito, e lo ha accusato di stalking. Nel descrivere ai pm Gabriella Dotto e Francesca Rombolà la vita in prigione, Montiel spiega che il medesimo Delfino era bullizzato da un marocchino, tale «Chebbi», e un pomeriggio si era sfogato: «Mi ha detto che ne aveva conosciuti tanti come Chebbi, ma uno ci aveva lasciato le penne. Mi ha svelato di aver fatto fuori nel precedente carcere un tunisino che lo maltrattava. Siccome si fidava di Delfino e prendeva molto Tavor, Luca l’ha riempito di terapia insieme al caffè. Il tunisino si stava addormentando, lui l’ha fatto andare in bagno e gli ha dato altra terapia. Gli ha messo un sacchetto nero in testa, ha aperto una bombola di gas e quello è soffocato. Per fare la scena dopo che è morto, ha preso una corda e l’ha appeso alla finestra del bagno. Lo hanno interrogato, ma lui non ha mai sbagliato a parlare».
La nuova inchiesta a Firenze
Il verbale viene trasmesso ai pm fiorentini, con Delfino già iscritto per omicidio volontario. Si scopre che l’8 aprile 2018 un nordafricano risultò in effetti «impiccato» nei bagni di Sollicciano e svariati elementi collimano. Montiel, nel corso dell’audizione, fornisce altre due informazioni sulle quali s’arrovellano gli inquirenti: «Spesso Delfino mi giurava di non aver compiuto il primo omicidio (Luciana Biggi, 28 aprile 2006 a Genova, assolto, ndr). A volte però mi parlava del secondo (Maria Antonia Multari, 10 agosto 2007 a Sanremo, condanna a 16 anni e 8 mesi, ndr), ma poi si confondeva e tornava sul primo: mi diceva “l’ho chiamata (riferito a Luciana Biggi, ndr), ci siamo visti, l’ho fatta arrabbiare e poi...”. Io glielo facevo notare e allora fingeva che mancasse un pezzo del racconto. Non mi ha riferito di altri episodi specifici, ma diceva che tante persone sono scomparse e Chebbi avrebbe fatto la stessa fine».
Sia in Liguria sia in Toscana vogliono capire se Delfino si riferisse ad azioni compiute da lui prima o durante la detenzione (per un periodo nei primi anni Duemila ha vissuto da randagio sui treni e in stazioni soprattutto al Sud, frequentando disperati).
Il finto incidente
Non va trascurato un altro dettaglio. Nel febbraio 2006 la casa dove viveva con Luciana Biggi fu sventrata da un’esplosione: d’acchito si pensò a una fuga di gas accidentale, ma poi si scoprì (la Biggi intanto era stata uccisa) che i tubi erano stati sabotati. Delfino fu accusato di tentato omicidio, addebito poi archiviato per carenza di prove. Le perizie psichiatriche hanno stabilito che, pur dotato d’un quoziente intellettivo elevato, prova un odio viscerale per le donne, essendosi sentito «abbandonato» dalla madre che si sparò davanti a lui bambino.
Le polemiche Viminale-pm
Il suo caso nell’estate 2007 dominò le cronache. La polizia accusava il pm Enrico Zucca, che in quel periodo indagava pure sugli agenti picchiatori della Diaz, di non aver chiesto l’arresto dell’ex barman post-delitto Biggi, mentre le intercettazioni documentavano le molestie a Maria Antonia Multari, uccisa in seguito. In realtà l’assenza d’una legge specifica, e la scena del primo crimine inquinata, impedirono di raccogliere prove granitiche proprio sul caso Biggi, tanto che il barista fu poi assolto in aula. E però la sua vita, si scopre oggi, potrebbe essere stata ancora più violenta.