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 2019  giugno 09 Domenica calendario

All’asta i taccuini di guerra di Gadda

I grandi scrittori non finiscono mai di stupire. Carlo Emilio Gadda è tra questi e dalle sue carte spuntano adesso dei materiali inattesi. Si tratta di 12 taccuini, 8 dei quali inediti, riconducibili al Giornale di guerra e di prigionia . Il corpus, messo all’asta da Finarte e dal suo direttore Fabio Massimo Bertolo (straordinario conoscitore-filologo), è già acquisito dalla Biblioteca Nazionale di Roma per oltre 30 mila euro. Ed è una sorpresa perché si tratta di un’opera ampiamente studiata da Dante Isella, il maggior studioso dello scrittore. A quanto si sapeva finora, il diario tenuto dal sottotenente degli alpini Gadda tra il 24 agosto 1915 e il 31 dicembre 1919 era contenuto in 6 quaderni o bloc notes, il terzo dei quali perduto perché rimasto nella tenda sul monte Krasji nel momento della ritirata. 
Occorre un po’ di cronologia. La prima edizione, messa insieme dall’amico Alessandro Bonsanti, scrittore fiorentino direttore del Gabinetto Vieusseux, uscì nel ’55 per Sansoni. Ai 3 taccuini pubblicati in quella prima uscita venne anteposto, nell’edizione Einaudi del ’65, il Giornale di Campagna (agosto 1915-febbraio 1916). Nel 1991, infine, Garzanti pubblicò il famoso Taccuino di Caporetto (ottobre 1917-aprile 1918), importante documento di sofferenza e di disfatta morale. L’insieme fu ricomposto da Dante Isella in un volume dell’Opera completa garzantiana, dove si restauravano i passi che nell’edizione Einaudi furono censurati per volontà dell’autore, timoroso nei confronti delle persone citate. A Bonsanti, Gadda aveva affidato i taccuini raccomandandosi che restassero in parte segreti. Oggi sappiamo che la volontà si estendeva a 8 quaderni di cui lo stesso Isella era all’oscuro. 
Il giovane ingegnere viene fatto prigioniero dagli austriaci sulle rive dell’Isonzo il 25 ottobre 1917, durante la disfatta di Caporetto: il «lugubre viaggio» dopo la cattura lo porta prima a piedi poi su carri-bestiame fino a Rastatt (nel Baden-Württemberg) e di lì, il 27 marzo 1918, nel campo di Celle, nell’Hannover, dove il sottotenente verrà liberato solo il 1° gennaio 1919. Il corpus di diari noti finora rappresenta «la testimonianza più drammatica e viva dell’esperienza vissuta da un soldato italiano nella prima guerra mondiale». La definizione è di Paola Italia, che curerà la nuova edizione per Adelphi (2021), la quale a questo punto va radicalmente ripensata. 
Si tratta di uno zibaldone, con schizzi e disegni, pullulante di umori, sfoghi, aneddoti, elucubrazioni esistenziali e storiche, ritratti umani, notazioni tecniche militari, spunti sulle letture e la scrittura. Uno zibaldone che mette in luce anche le qualità dello scrittore da giovane. 
Da notare che i taccuini già editi sono contenuti dentro buste gialle dell’Università di Pavia, in cui insegnò Isella per una vita, mentre gli inediti sono rimasti inseriti in vecchie buste ingiallite del Gabinetto Vieusseux. Il primo quadernetto contiene qualche pagina ignota che rappresenta una breve coda del Giornale di campagna essendo datata Torino 28 maggio 1916: «Rinnovo le mie note in un tempo triste della nostra milizia». Successive pagine sono occupate dalle mansioni dei singoli commilitoni e da istruzioni sull’uso delle mitragliatrici. Un altro bloc notes sconosciuto contiene in una trentina di pagine la fitta trascrizione delle lettere inviate ai familiari, soprattutto alla madre, dal 17 novembre al 12 dicembre 1917. Offrono ai corrispondenti informazioni sulla quotidianità, rassicurazioni sulla salute («sono, purtroppo, incolume»), richieste di viveri: «Vi prego di mandarmi pane; se possibile, un po’ di sardine, carne, pasta, o marmellata; ma, soprattutto, pane». Sempre con la preoccupazione di evitare allusioni che possano insospettire la censura e con l’ansia per il fratello Enrico (pure lui militare), il quale poi morirà per un incidente pilotando un biplano il 23 aprile 1918. Non mancano momenti di sconforto: «Sono ora scomparso dal mondo: un inutile vegetale, che può solo soffrire, per gli altri e per sé». Perché Gadda trascriveva le lettere inviate ai parenti? Forse per averne memoria futura qualora la censura le avesse sequestrate? A pagina 28 si inserisce una prosetta poetica estranea al tono delle missive: «Non dentro dal vano della notte paurosa, dove vagano i fantasmi della superstizione, ma su dal buio dell’anima, su dall’orribile buio del futuro deserto d’ogni speranza risuona una forma che mi chiama a soccorso: il suo sguardo implora pietà e il suo viso disfatto dalla sofferenza testimonia che solo una prepotente necessità lo spinge alla invocazione». 
Altri 5 quaderni di varia consistenza vanno a riempire, almeno parzialmente, il vuoto che si apre, nel Giornale edito, dal 4 novembre al 18 dicembre 1918. Il primo (una ventina di pagine) è datato 7 novembre («Nelle cartoline da casa non mi si parla mai, mai di Enrico. Inquietudine e voti»). Un secondo, di 34 pagine, sempre scritto nel Lager di Celle, prende avvio dal 10 novembre, ore 21: «Quanto scrissi nei giorni precedenti può anche essere ingiusto e impreciso; è uno sfogo; valga come traccia di uno stato d’animo». Gadda racconta l’annuncio dell’armistizio tra la Germania e l’Intesa, che giunse il 10 novembre e «che venne sparso in un baleno nel campo, tra la gioia generale». Il quaderno si sviluppa intorno al sentimento di pietà verso i tedeschi, alle incertezze del rimpatrio, all’«umiliazione della immeritata e terribile prigionia, dopo tanta devozione e tanto amore alla Patria». È inevitabile il confronto con la «sicurezza vittoriosa» del compagno di prigione Ugo Betti: per diverse pagine Carlo Emilio racconta con ammirazione i momenti in cui l’amico gli legge le sue poesie passeggiando «dietro la fila delle latrine del blocco A». Considerazioni anche sull’altro compagno di sventura, quel Bonaventura Tecchi a cui Gadda avrebbe dedicato il Giornale: «È sempre assorto, cupo, triste, rabbiosetto: si direbbe malato». Fa sorridere l’ultima pagina di «riflessioni estetiche» sul contegno da tenere in caso di guerre e rivoluzioni: «Continuare nei metodi di ordine, senza per altro spingerli fino alla mania», «È necessaria una molto maggiore eleganza nel vestire», eccetera. 
È probabile che a vietare la pubblicazione di questi taccuini, sia stato, come si diceva, il timore di sfiorare la suscettibilità di alcuni amici. Del resto, dopo l’uscita dell’edizione Sansoni, Gadda dovette far fronte, con mille scuse affannate, al risentimento (scherzoso ma preso drammaticamente sul serio) di un amico milanese, Ambrogio Gobbi, per un giudizio non benevolo contenuto in un passo del Giornale. Fu un trauma. Il quaderno successivo (14 novembre-16 dicembre 1918), di 96 pagine, è forse il più importante sul piano metaletterario. In copertina, dove campeggia l’indirizzo milanese (via San Simpliciano 2) un avviso alquanto curioso: «Prego vivissimamente la Persona che ritrovasse questo libro smarrito di rendermelo, se è in grado di far ciò, o di trattenerlo presso di sé fino a che il più diffuso giornale del suo paese dia il mio recapito». 
Nel salutare il suo venticinquesimo compleanno (14 novembre), percepito come una possibilità di svolta, dichiara: «Unico fine di questo mio scrivere è il poter ricordare meglio di quanto non consentirebbe la sola memoria quei tratti della mia vita che più mi paiono degni di attenzione». Tenendo conto che «unica è la vita e unica la sua storia», l’intenzione è quella di «sdoppiar queste note in due corsi paralleli, come in due canali dell’acqua per una più comoda distribuzione». Da una parte ci sarà la «Vita notata» con le memorie quotidiane, le «vicende esteriori e materiali». Dall’altra ci sarà il «Pensiero notato» in cui si raduneranno «percezioni, intuizioni, invenzioni, concetti, giudizi che non hanno una immediata conseguenza nei miei atti». Gadda si sofferma poi sulle imperfezioni fatali nel diario, sull’intenzione di essere «veritiero» e privo di «preoccupazione letteraria», definendo il tutto una «memoria fuori della scatola cranica, ma non meno secreta». Procede dunque, dopo aver gettato queste basi «teoriche», al resoconto quotidiano, fino al giorno di dicembre in cui si concede una «piccola ma acerba tempesta» contro l’amico Betti, colpevole di «svalutare con ogni mezzo, con ogni argomento, il mio operato», «talora con termini che giungono al grottesco e alla banalità contadina». È questa la ragione per cui questo straordinario taccuino verrà censurato? Probabile. Segue un quaderno di «Pensiero notato» che prende avvio il 18 novembre e disquisisce di questioni letterarie e critiche (il futurismo di Tecchi, Hegel, Croce, Tolstoj eccetera). Ancora «Vita notata» si intitola il quadernetto che parte dal 16 dicembre 1918. Materiali impensabili che meriteranno di essere studiati dai valorosi gaddisti eredi di Isella.