ItaliaOggi, 8 giugno 2019
Molti fra i killer sono ingegneri
La settimana scorsa un ex ingegnere comunale della città americana di Virginia Beach (descritto dalla polizia come disgruntled, scontento) è tornato nell’ufficio dove aveva lavorato con una pistola calibro.45 e ha ucciso undici ex colleghi, ferendone altri sei. Il mass shooting (la definizione comprende l’uccisione o ferimento di quattro o più persone insieme) era il 150esimo dell’anno negli Usa ed era al di sopra della media. L’ultimo episodio paragonabile si è avuto a novembre scorso, a Los Angeles, con dodici vittime, quando un ex marine, presumibilmente disgruntled anche lui, è entrato in un locale country&western e ha aperto il fuoco sugli avventori. Eppure, il tasso generale di omicidi negli Usa è (secondo dati Onu) significativamente al di sotto della media mondiale, 5,35 vittime per 100 mila di popolazione rispetto al dato globale, 6,2 per 100 mila. Nella classifica Unodoc (United Nations Office on Drugs and Crime) gli Stati Uniti sono solo al 90esimo posto nel mondo. Sono ampiamente superati da altri paesi più o meno civilizzati come la Russia (10,82 per 100 mila), il Messico (19,26), il Brasile (29,53), la Giamaica (47,01) e il sanguinoso trio sudamericano, Venezuela, Honduras e Salvador (rispettivamente: 56,33, 56,52 e 82,84). I dati sono del 2016 ed è ipotizzabile che il Venezuela abbia intanto guadagnato qualche posizione. L’Italia invece «si uccide» a un tasso bassissimo: 0,67 persone per 100 mila; la Francia il doppio, 1,35 per 100 mila, la Germania 1,18, e gli inglesi 1,20 per 100 mila.
L’Europa, storicamente, ha sempre preferito dissanguarsi periodicamente in guerre continentali che spazzavano via intere generazioni di giovani. Ad ogni modo, se gli americani sembrano favorire (in termini relativi) ammazzarsi in gruppi anziché alla spicciolata, come si spiega il fenomeno? Non è solo per la disponibilità di armi. Degli 89 paesi più «omicidi» degli Stati Uniti molti limitano, almeno in via teorica, il possesso di armi da fuoco, eppure non sembrano attratti dai piccoli «stermini di massa» che caratterizzano the American way of violence. Il fenomeno parrebbe quasi rispecchiare l’attenzione americana al commercio su larga scala, la grande distribuzione organizzata rispetto al piccolo negozio di quartiere: come per dire, se dobbiamo prepararci per ammazzare uno, tanto vale uccidere anche degli altri…
Strano a dirsi, l’idea potrebbe trovare una sorta di conferma (almeno per quanto riguarda il meccanismo mentale) nella straordinaria prevalenza di ingegneri tra i terroristi islamici. Nel 2016, in un libro della Princeton University Press, Engineers of Jihad, due ricercatori, il sociologo Diego Gambetta e lo scienziato politico Steffen Hertog, hanno ipotizzato che una «particolare forma mentis che cerca ordine e gerarchia e che si trova più di frequente tra gli ingegneri» potrebbe spiegare il sorprendente dato di base che avevano trovato esaminando la scolarizzazione di militanti islamici violenti di 30 paesi: «Di quelli i cui studi sono andati oltre il liceo, il 44% avevano studiato ingegneria».
L’ipotesi è controversa (specialmente tra gli ingegneri), ma se avesse un minimo di fondamento potrebbe forse offrire una possibile spiegazione del comportamento degli assassini di massa americani. Dipenderebbe dalla spinta verso l’efficientismo, una nota caratteristica culturale Usa: già che ci siamo, mettiamo un po’ d’ordine...