ItaliaOggi, 8 giugno 2019
Noa non doveva essere lasciata libera
Non chiamatela depressione quella noia che vi portate appresso in metrò o nel letto, non fatene una sciocchezza alla moda. Depressione non è sentirsi giù, non è il modo di dire inflazionato che usano tutti con troppa leggerezza: è questo viale nero, che succhia via la voglia di lottare, di pensare. Di parlare, di scrivere. È un posto dove nessuno può seguirti. È svegliarsi ed essere contento perché è un giorno in meno che rimane. È dibattersi nell’imbuto per l’inferno. È un pipistrello che ti viene contro, punta verso i tuoi occhi, eccolo sta arrivando. E quando ce l’hai addosso è troppo tardi: vedi gli altri che ridono, e li odi. Li vedi vivere normalmente, e ti chiedi come possono farlo. Ti senti escluso, staccato da un mondo che non è il tuo.Così viveva, ma non è il termine giusto, la diciassettenne Noa Pothoven, che ha deciso di farla finita e l’hanno assecondata. In Olanda funziona in questo modo, basta una volontà anche minorenne, non conta che a quell’età la mente non sia ancora completa, perché le varie parti del cervello, lobi, corteccia, debbono ancora finire di svilupparsi. Non contano le tempeste ormonali, le incertezze dell’adolescenza, le esasperazioni di tutto, l’agitarsi di fantasmi che non si placano. E Noa si è lasciata morire, e l’hanno lasciata morire. E chissà, forse non c’era niente da fare, ma, la si metta come si vuole, si spacchi pure in quattro il capello dell’eutanasia, è un fatto che il suo paese ha rinunciato a lottare anche per lei, che di lottare non aveva più forza.
Ma se si lascia l’ultima volontà a chi di volontà non ne ha più, è la fine. Ed è un crimine, perché chi sta così, sta in una allucinazione: ovunque si volti, trova solo cose già viste, già sentite, i muri sembrano caderti addosso, la strada sembra sollevarsi per inghiottirti, il cielo s’abbassa fino a schiacciarti, e il Tempo... il Tempo si divora, si annulla, non esiste più. Resta solo un rifugio fatto di sofferenza, che si alimenta di se stessa: solo immagini angoscianti, musiche strazianti, evocazioni di fatti tragici. Ecco il suo cibo.
Eppure chi si è perso nell’imbuto sa, per avere frequentato le sue pareti gelide e lucide, dove una tenda danza al soffio di un vento di morte, sa che basta poco a volte a scacciarla questa nuvola oscura che sta dentro l’anima. Chi ha abitato l’imbuto sa che la depressione è un sintomo, che cambia di continuo, che esplode in modi sempre nuovi e imprevedibili; ma non una causa. Sa che ti avvolge come un tappeto quando credi d’essere completamente solo e di non poter più raggiungere nessuno. «Nessuno può capire», è il mantra che recitano tutti quelli che sono nell’allucinazione. Sì, la depressione è madre dell’angoscia ma figlia della solitudine. Si nutre di se stessa, perché rifiuta ogni compagnia. Non ha la forza d’inseguirla. Si basta, in fondo si piace.
La depressione è perversa. A lungo andare si trasforma in un alibi valido per tutto, e questo è il suo trionfo e anche la sua nobiltà: per Aristotele era il crisma di artisti, pensatori, politici; Indro Montanelli la chiamava «il sole nero», e la accettava: «In quei momenti sono un verme, ogni notte mi processo, sono il mio giudice e non mi sconto nessuna colpa al mondo». Non conta chi tu sia, ma quando tu sei qualcuno la depressione è più ambigua, più indefinibile: «Quale allegria», canta Lucio Dalla in un brano memorabile. «Per essere stato ucciso quindici volte in fondo a un viale per quindici anni la sera di Natale».
Chi può, si cura col successo, come Vittorio Gassman, «l’applauso è come un orgasmo». Gassman, impregnato di teatro fin nell’anima: bipolare, custodiva in sé le due maschere, che lo tormentavano entrambe fino a consumarlo. C’è un bel verso di Renato Zero: «Tentazioni e mai la volontà di finirla qua». Chi è stato morso da questo vampiro di ombre sa che il vampiro può finire in cenere al calore di una carezza o alla scintilla dell’orgoglio. La depressione spegne ogni cosa ma continua, malgrado tutto, a invocare qualcuno che la sconfigga. Anche la ragazzina olandese, negli scritti che ha lasciato, nei suoi racconti dall’imbuto, dava questa impressione: una volontà definitiva di annullarsi, che aspettava chi la sconfiggesse per lei. La si metta come si vuole, ma Noa, a 17 anni, devastata da spettri, non doveva essere lasciata libera nella camicia di forza dell’anima. Non doveva essere lei ad avere l’ultima parola.