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 2019  giugno 08 Sabato calendario

Paperino compie 85 anni

La differenza, tra i due dioscuri, stava nell’ascensore sociale. Per Topolino, l’eroe fighetto amato dal presidente Roosevelt, dal Duce e dall’establishment era sempre in salita. Per Paperino, la sfiga elevata a forma d’arte, non solo l’ascensore sociale era bloccato, ma ogni volta scivolava sempre un passettino verso il basso. Anche se paradossalmente la sua è sempre stata una matrice popolare di centrodestra. Il fatto che domani il mondo celebri gli 85 anni di Donald Duck/Paolino Paperino (il papero esordì nel cartoon La Gallinella Saggia il 9 giugno ’34, presentato allora come un fannullone, oggi sarebbe un cattivo percettore del reddito di cittadinanza), be’, suona come un risarcimento storico. Il settimanale Topolino ne esalta la vecchiezza in copertina, Sky e Mondadori gli dedicano programmi e Festival del Fumetto, alcuni Stati americani dichiarano la festa nazionale. E per quel piccolo sociopatico dai piedi palmati vestito da marinaretto, be’, è senz’altro una soddisfazione. Pensate al livello di diseguaglianza che ha dovuto subire. Per Topolino ogni cosa era illuminata: non aveva problemi di lavoro (e che fosse aviatore o sbirro o giornalista o divo del cinema, era pagatissimo); viveva una relazione stabile e fedelissima con Minnie e tre nipoti di cui aveva un affido sicuro; era amico dei ricchi, della stampa e della polizia; e, ad ogni gradino agevolmente scalato, dalla classe media alla borghesia di Topolinia riceveva il plauso di istituzioni, amici e finanche nemici. Perfino Gambadilegno arrivò a provare invidia per la vita perfetta del topo. Paperino, invece, sembrava sempre uscito da una pagina triste di Oliver Twist. Mai avuto lavori fissi, e quelli che aveva erano “lavoretti”, gig economy pura (per essendo conservatore e individualista dentro): sguattero, corriere, guardiano notturno, lucidatore dei talleri d’oro dello zio miliardario che di certo non pagava i contributi ai dipendenti. Poi c’erano i creditori che lo rincorrevano; e una convivenza macerata e sottomessa con Paperina che -è fattuale – lo cornificava con Gastone; e i nipotini Qui, Quo, Qua che, agitando il Manuale delle Giovani Marmotte come la Costituzione, lo prendevano ferocemente per il culo minandone la già bassa autostima. 

LA IELLA INVINCIBILE
Paperino, invece, era avvolto da una iella invincibile. Al punto che, all’improvviso, per giustificarla, i suoi due autori Disney italiani Pier Lorenzo De Vita e Guido Martina, s’inventarono la maledizione che una strega del XV secolo, sul rogo, aveva lanciato a tal Paperin Meschino, l’avo di Paperino e ai suoi discendenti per i mille anni a venire. Paperino, oggi, è coetaneo di Sophia Loren e Brigitte Bardot, è nato il giorno della nascita di Curzio Malaparte e in quello della morte di Charles Dickens; e la sua fama – che lo si chiami Pato Donald in portoghese, Bottouta in arabo, Tang Lao Ya in cinese o Paja Patak in serbo-croato – ha abbondantemente travalicato la buona fama dei suoi coevi e la sua stessa cattiva fama. gli studi Inoltre, grazie ai suoi “padri putativi” (Walt Disney era solo il patriarca della grande famiglia) Carl Barks e Don Rosa, dopo la guerra, le avventure di Paperino riuscirono ad omaggiare la routine della classe piccolo-medioborghese, attanagliata dai problemi del quotidiano. Mentre Topolino indagava sui casi di furti di collane del jet set, combatteva i nemici venuti dallo spazio, sgominava imperi del male e si catapultava in rocamboleschi viaggi nel tempo per sconfiggere cattivi cattivissimi – Macchianera, per certi versi era più spietato di Diabolik; be’, Paperino si arrabattava per portare al mare i ragazzini, per fare la spesa a credito, al massimo per procurarsi, assieme al cugino Paperoga – se vogliamo più sfigato di lui – un finto scoop in cronaca cittadina quando faceva il praticante al Papersera. Diciamo che anche per la nostra infima categoria di scribi ci sono stati esempi migliori. Nel 1994 il semiologo Omar Calabrese descriveva Paperino così: «In fondo lui è uno che protesta sempre in nome di valori piccolo borghesi. È un generoso, ma anche infingardo, disposto a mentire (…) Si accontenta di piccole cose: il prestito, per esempio». Nel 1971 lo scrittore Ariel Dorfman e il sociologo belga Armand Mattelart pubblicarono in Cile, dove Paperino era il personaggio Disney più popolare, il best-seller How to Read Donald Duck. Nel libro Dorfman e Mattelart sostenevano fosse un portavoce conservatore, molto anticomunista, con il compito di addolcire i peccati del colonialismo e smorzare lo spirito rivoluzionario. Eppoi c’è la storia del papero isolato dagli ambienti ecclesiastici italiani degli anni 50/60. Lo storico Aldo Giannuli notava, infatti, quanto Paperopoli fosse la città laica per eccellenza, il posto dove “Dio è morto”. Non c’era un prete o una chiesa, Qui Quo e Qua erano scout laici, nessuno era sposato, era forte il mito della scienza incarnato da Archimede Pitagorico, e lì erano tutti benestanti. Era, quella, “una società che sembrava uscita dai manuali della sociologia funzionalista americana”, qualsiasi cosa volesse significare. Paperino era, a conti fatti, inviso ai comunisti (essendo privo del senso del lavoro e del popolo), sconsigliato ai cattolici, disprezzato dagli ultraconservatori. Un’impopolarità che l’ha reso, fortunatamente, il fumetto più popolare del mondo…