il Giornale, 8 giugno 2019
Ritorna (in antologia) «La voce della fogna»
«Fascisti carogne, tornate nelle fogne» fu tra gli slogan più in voga degli anni Settanta e che, seppur a macchia di leopardo, ritorna a circolare nelle vetero-discussioni e guerre tra bande che si combattono sui social network. Allora, i gruppi di estrema sinistra invitavano (e qui usiamo un eufemismo) coloro i quali, da destra, si opponevano all’avvento del comunismo, a esiliarsi nel luogo più putrido della terra, le fogne.
In verità, la cultura del ghetto fu nel Msi in larga parte subita ma, in minima parte, anche alimentata perché tali attacchi rafforzavano la comunità militante ed erano in grado di tenere serrate le fila del partito. Proprio grazie a quel contraddittorio fermento nacque La voce della fogna («Oggi le catacombe si chiamano fogne» fu il fondo del primo numero) che ebbe vita un decennio (1974-1983). I redattori sarebbero poi diventati giornalisti, professori universitari, giudici della Corte Costituzionale, manager industriali e quell’esperienza sarebbe addirittura divenuta oggetto di studio in seminari universitari e pubblicazioni di taglio scientifico. Se ne accorse anche la stampa nazionale quando su Rai Due, nella trasmissione Nero e bello, un giovane Giampiero Mughini si occupò analiticamente di quel mondo e molti seppero per la prima volta dell’esistenza della rivista.
Grazie alle Edizioni La Vela vengono ora ristampati in un bel volume tutti i numeri per un totale di 444 pagine. Non un mero oggetto di collezione, come ci tiene a precisare nella introduzione Marco Tarchi, che ne fu il principale animatore, ma lo strumento per decrittare un tempo. Bisogna, infatti, non cadere nell’errore di decontestualizzare quell’esperienza correndo il rischio di declinarla in maniera sbagliata e porla come metafora di scenari contemporanei. E dunque, niente di tutto questo. Tuttavia quella fogna dette la possibilità a tanti giovani che di essere fedeli alla proprie radici ideali ma, contestualmente, di navigare in mare aperto e di liberarsi dalla maschera della militanza. Il tutto tenuto assieme non da trite parole d’ordine ma da dosi massicce di ironia e sarcasmo.
Per Stenio Solinas, che fu parte integrante di quell’avventura insieme a Franco Cardini, Krancic e molti altri, si trattò di svecchiamento e provocazione, un macigno gettato nello stagno sonnacchioso del partito. La destra giovanile tentava la fuoriuscita dalle catacombe e da uno sterile nostalgismo per aprirsi al cinema, alle nuove tendenze musicali, al fumetto, al costume, a letture alternative.
Quella voce che rimbombava dalle fogne era soprattutto un modo per tirarsi fuori dalle guerra civile che ammorbava l’atmosfera sociale e disinnescare dalle radici le motivazioni di quello scontro. Si voleva rompere l’accerchiamento facendo un passo in avanti e non restando fermi sulle posizioni e tutto ciò spingeva in una direzione ben precisa: uscire dal ghetto, rompere dei tabù, facendosi «beffe della gran parte degli stereotipi comportamentali della propria area di riferimento».
Non tutto fu facile. Sin da subito intuirono che con quella iniziativa stavano per aprire una frattura insanabile con il partito e poi, col passare dei mesi, come era prevedibile, si acuirono i problemi di ordine logistico e finanziario. I contatti venivano tenuti per corrispondenza o telefonicamente, o attraverso gli incontri di partito prima e della Nuova Destra poi. Il periodico giovanile francese Alternative di Marchal, da cui trassero il celebre topo di fogne, fu un riferimento ma il fatto che la rivista venisse «partorita in una soffitta parigina arrostita dal sole del luglio 1974, e sfornata da una tipografia della periferia fiorentina cinque mesi dopo» ne fu un vero e proprio marchio di fabbrica. E infatti, proprio quando si avviò una seconda fase del progetto con la scoperta di altri orizzonti, quelli metapolitici di Alain de Benoist e delle sue iniziative, le scosse di assestamento non poterono più essere attutite. La rivista iniziò la sua parabola discendente in maniera progressiva e la circolazione divenne sempre più clandestina, ristretta a circuiti più piccoli, osteggiata dai quadri del Msi e ovviamente ricacciata lontano dal restante quadro politico culturale.
L’eterogeneità dei posizionamenti e delle impostazioni ideologiche che, all’inizio, non aveva influito sulla diffusione, tanto che nel 1977 si raggiunsero le 4500 copie e i 1250 abbonati, esplose poi «per la contraddittorietà dell’equilibrismo fra volontà innovativa e necessità di mantenere nei confronti dell’ambiente a cui si rivolgevano quel tanto di compatibilità che consentisse loro di essere letti e seguiti».