Robinson, 8 giugno 2019
Caccia a Banksy, l’artista invisibile
Profilo Instagram di Banksy, 22 maggio 2019. Oltre sei milioni di persone cliccano sul video che mostra un uomo intento ad allestire la sua bancarella di pittore ambulante a Venezia. Nel caos turistico della Riva degli Schiavoni, l’individuo con cappellino da pescatore e impermeabile blu monta il suo ciclo di tele con il cartello Venice in Oil. Sono nove quadri che, disposti insieme, formano il puzzle di una scena inquietante: un’enorme nave da crociera copre quasi il campanile di San Marco e incombe sul ponte di Rialto. La gente si ferma curiosa a guardare. Persino un gatto si blocca pensoso con la coda all’insù davanti alle cornici. Il filmato si conclude in un minuto: l’artista di strada è costretto a sloggiare dalla polizia locale. L’ultimo fotogramma lo inquadra mentre porta via la cassa di legno con le opere. Lui deve andare via, ma sullo sfondo resta una minacciosa imbarcazione gigante. È vera, non dipinta a olio. Banksy commenta la sua storia sull’account: «Nonostante sia il più grande e prestigioso evento del mondo dedicato all’arte, la Biennale non mi ha mai invitato». Sembra la maledizione della strega Malefica nell’incipit disneyano della Bella addormentata.
Venezia, undici giorni dopo, 2 giugno 2019. Nel canale della Giudecca, una nave da crociera lunga 275 metri e alta 54, vera, non dipinta a olio, si schianta prima contro un battello di turisti e poi sulla banchina di San Basilio: cinque feriti. Torniamo a Instagram. «Sai predire il futuro?», scrive un fan a Banksy.
La mappa del mondo
Ma chi è Banksy? Da vent’anni il mondo conosce con questo nome il misterioso re della Street Art. L’ombra che compare ovunque e da nessuna parte. Il fantasma che si materializza ogni volta al posto e al momento giusto. Che disegna bambini, micetti e voragini illusorie sul muro della Cisgiordania. Colora poliziotti che si baciano, palloncini, topi, scimmie, manifestanti che scagliano fiori lungo le strade di Londra, New York, Vienna, Los Angeles. Sparge false banconote da 10 sterline con l’effigie di Lady Diana, durante il carnevale di Notting Hill. Dipinge una donna in lutto sulla porta del Bataclan di Parigi. Steve Jobs su una discarica di Calais per ricordare che era figlio di un rifugiato siriano. Fa apparire la Madonna nel centro storico di Napoli con una pistola sospesa sulla testa, al posto dell’aureola. Se gli va, scende dai marciapiedi ed entra nei musei, sbeffeggia la sorveglianza e la storia dell’arte. Tra l’ottobre 2003 e il settembre 2006, nell’ordine, appende un classico paesaggio inglese sfigurato dai nastri della polizia alla Tate Britain; un topo imbalsamato al Museo di Storia naturale di Londra; la Gioconda con lo smile al posto della faccia, nella sala dei grandi maestri italiani del Louvre; una falsa pittura primitiva con dinosauro che spinge il carrello della spesa al British. Per tre giorni la sua zuppa in lattina, marca Tesco, resta inchiodata al MoMA senza che nessuno se ne accorga. Blocca le attrazioni di Disneyland, in California, dopo aver installato un gonfiabile a forma di prigioniero di Guantanamo. Nei negozi britannici, sostituisce 500 cd di Paris Hilton con versioni alternative dal titolo: Why am I famous? What have I done? What am I for?
Se le sue opere sono asportate dai muri per essere battute all’asta ( Keeping it spotless è il record: 1,9 milioni di dollari, febbraio 2008), lui stesso si prende gioco del mercato quando Girl with Balloon si autodistrugge subito dopo essere stata battuta da Sotheby’ s a Londra per 1,2 milioni di dollari, nell’ottobre 2018.
Le origini
Stokes Croft, quartiere a nord di Bristol. Per provare a capirci qualcosa bisogna partire da qui. Da questi mattoncini rossi su cui sopravvive uno dei primi murales di Banksy. È del 1999: raffigura un orsetto intento a lanciare una molotov contro tre poliziotti in tenuta antisommossa sotto la scritta The Mild Mild West.
In basso, per la prima volta, leggiamo la firma “Banksy”, seguita da un punto esclamativo. Nella mitologia del re della Street Art, che, raggiunta la fama, diventerà il più attento regista della sua narrazione, Bristol rappresenta l’origine di tutto. Ma anche una costante nella sua attività. Qualsiasi cosa accada, in oltre vent’anni di spostamenti, la Primula Rossa dell’arte contemporanea non ha mai mancato di “omaggiare” la città. Persino rispondendo con un’opera a sorpresa agli alunni della scuola primaria Bridge Farm, nel 2016.
Sin dalla fine degli anni Ottanta, a Bristol gli artisti di strada sono attivissimi. C’è il collettivo Bristol’s DryBreadZCrew con Kato e Tes, ci sono Nick Walker, Inkie e 3D, ovvero Robert Del Naja, più tardi fondatore della band musicale dei Massive Attack e fonte di ispirazione dichiarata per Banksy. Le sfide alla polizia per portare a termine i graffiti sono all’ordine della notte, più che del giorno. Nel suo catalogo ufficiale Wall and Peace, Banksy stesso racconta: «Mentre ero sdraiato ad ascoltare i poliziotti che presidiavano i binari, ho capito che se non riducevo della metà il tempo di esecuzione dei pezzi tanto valeva smettere di farli. Mentre fissavo la scritta fatta a stencil su un camion autopompa, mi è venuta l’idea che bastava copiare quello stile e sarei riuscito a fare lettere alte anche un metro». Lo stencil diventa la tecnica della guerrilla art, con la maschera in negativo poggiata direttamente sulla superficie dove si vuole lasciare l’immagine. I tempi e le possibilità di essere colti in flagrante si dimezzano.
Banksy chi?
Banksy non è il signore attempato che si è lasciato immortalare a Venezia, mentre leggeva il giornale accanto alla famigerata bancarella, prima di essere cacciato via. E nemmeno quello più giovane con barba, maglione e occhiali neri, che, come dimostrano altri scatti, montava i quadri di Venice in Oil.Banksy non è uno di questi. O non è” solo” loro. In una rarissima intervista rilasciata – almeno ufficialmente – di persona a Simon Hattenstone delGuardian, nel 2003, viene descritto come un ventottenne con jeans, t-shirt, catenina, orecchino e dente d’argento, che si arrotola una sigaretta e ordina una pinta di Guinness. Facendo rapidi calcoli, il nostro eroe oggi dovrebbe avere intorno ai 45 anni. Più o meno come Robin Gunningham, nato a Yate, 19 chilometri a nord-est di Bristol, nel 1973. Secondo un’inchiesta del Daily Mail, datata 2008, Banksy sarebbe proprio questo insospettabile ex ragazzone in tuta, appassionato di disegno, con ricci, faccia tonda e lenti fotocromatiche. Una ricerca del 2016 della Queen Mary University ha confermato l’identikit con la tecnica del geographic profiling, la stessa adottata dai criminologi, che incrocia i luoghi dei “misfatti” – in questo caso si tratta dei graffiti – con gli spostamenti dei sospettati. Chi preferisce concentrarsi sulle date dei tour dei concerti, invece, punta tutto su un altro cittadino di Bristol, Robert Del Naja, che ha un padre napoletano ( ricordate dov’è comparsa la Madonna con la pistola?). Il giornalista Craig Williams ha messo in relazione le esibizioni dei Massive Attack, di cui Del Naja è leader, con le apparizioni delle opere di Banksy. Il musicista, però, è nato nel 1965: nel 2003, all’epoca dell’intervista alGuardian, aveva già 38 anni. E – stando allo storytelling banksiano “certificato” – da artista di strada con il nome di 3D fu fonte di ispirazione per il Banksy bambino. Nel gennaio 2015, Ben Azarya, 14 anni, riceve in regalo su un treno all’altezza di Oxenholme, Inghilterra, una stampa firmata da Banksy. Il donatore è un tipo strano sulla quarantina con i jeans macchiati di pittura: dice di chiamarsi Robin Banks e che quell’opera vale 24 mila dollari. Robin, Robert. Banks, Banksy. «Banksy chi?» chiede Mr Brainwash, alias Thierry Guetta, francese nato nel 1966 e trapiantato negli Stati Uniti. È lui il protagonista di Exit Through the Gift Shop, il documentario diretto da Banksy nel 2010 a uso e consumo della sua leggenda, che guadagna una nomination all’Oscar, ma non fa altro che confondere le acque. Nel film, Guetta appare come un videomaker molto naïf che si trova a riprendere accidentalmente le gesta di Banksy e compagni, fino a diventare lui stesso un artista quotato e improbabile quale oggi è. «Un giorno la verità si saprà», sostiene Mr Brainwash. Gunningham, Del Naja, Guetta: è plausibile che tutti e tre facciano parte del mistero Banksy, nato nei suburbi di Bristol, coltivato e alimentato tra la strada e la scena musicale britannica, e diventato preda del collezionismo dei divi di Hollywood. «Se vuoi dire qualcosa ed essere ascoltato, devi indossare una maschera. Se vuoi essere onesto devi vivere una bugia», ha detto Banksy. Che non ha senso identificare con una persona sola. Perché ormai non lo è. Somiglia più a un’idea immateriale che prende forma, di volta in volta, dove passa la storia. Per fissarla un po’ di più su un muro, prima che svanisca. O per anticiparla, come a Venezia. «Sai predire il futuro?», scrive il fan su Instagram.