la Repubblica, 8 giugno 2019
Perché Mediaset ha traslocato in Olanda
Il Biscione cambia pelle per sfuggire all’estinzione. E apre con il trasloco in Olanda la fase due della sua esistenza. La svolta non era più rinviabile: lo scudo delle leggi ad aziendam che ha protetto per decenni Mediaset è venuto meno con il tramonto politico di Silvio Berlusconi. Netflix, le pay-tv e la concorrenza di You Tube, Facebook, Amazon & C. si stanno incrinando uno spettatore alla volta – lo strapotere del duopolio del piccolo schermo. La raccolta pubblicitaria di Cologno – tra recessione e spot in fuga verso il mondo digitale – è calata di un miliardo (-25%) in dieci anni. Tutti nodi, tra l’altro, arrivati al pettine nello stesso momento: Arcore ha provato a difendersi tagliando i costi di 450 milioni in tre anni, dando l’addio alla zavorra della pay-tv (un miliardo di perdite in 13 anni) e al sogno – troppo costoso – del calcio. La cura dimagrante però non basta più. Il mondo dei media – come dimostrano le nozze miliardarie Sky-Comcast o Disney-Fox e i 26 miliardi investiti quest’anno dai giganti dell’hi-tech in produzione di film e di contenuti propri – non è più un gioco per pesi mosca. E Mediaset ha deciso di sparigliare le carte per provare a essere protagonista e non vittima dello tsunami che sta travolgendo i media tradizionali.
«Rimanere fermi sarebbe stato miope – ammette l’ad Pier Silvio Berlusconi –. Questo è un atto di coraggio imprenditoriale per creare un’eccellenza italiana che lancerà una sfida europea».Il numero uno del gruppo, in effetti, ha scelto da tempo una direzione chiara: «La nuova holding olandese Media For Europe (Mfe) sarà la casa per la creazione di un broadcaster continentale». Una sorta di maxi- Mediaset «aperta ad altri due, tre quattro partner di altri paesi», con le spalle e il portafoglio abbastanza larghi per resistere all’assalto dei nuovi media digitali e di Netflix.
Arcore ha mosso il primo passo in questa direzione entrando con il 9,6% nel capitale della tedesca ProsiebenSat. L’idea è quella di convincere il management della public-company bavarese (in apparenza non troppo sensibile alle sirene italiane) a convolare a nozze per poi provare ad agganciare all’alleanza la francese Tf1 e magari l’inglese Channel 4. Il progetto ha una sua logica. Il percorso per realizzarlo è però in salita: Fininvest vorrebbe – almeno per ora – tenere il controllo di questa santa alleanza nell’etere, grazie anche alle opportunità offerte dalla legislazione olandese che trasformano il 36% di Mfe in portafoglio a Fininvest in una quota che potrebbe superare il 50’%. Lo stesso vale per la famiglia Bouygues, padrona di Tf1, mentre i tedeschi vorrebbero coltivare l’asse già creato con Discovery senza troppe distrazioni.
«Noi comunque guardiamo avanti, al futuro», ha spiegato Berlusconi Jr.. Fossilizzarsi sullo status quo, del resto, sarebbe stato rischiosissimo: i giovanissimi snobbano le reti tradizionali, gli ascolti – sostiene Goldman Sachs – sono crollati del 6,6% negli ultimi 12 mesi. Negli ultimi sei mesi gli abbonati a piattaforme come Netflix nel nostro paese sono cresciuti del 18% a 8 milioni. Il boom di queste realtà nel resto del vecchio continente ha sforbiciato di un quarto il tempo passato davanti alle tv classiche mentre da noi – complici il duopolio e a una banda larga ancora zoppicante – siamo fermi a per ora a un modesto -7%.
Le scelte radicali fatte ora con il pieno appoggio della Fininvest («oggi è un giorno da ricordare», ha detto Marina) sono la spia della serietà della situazione. Il trasloco in Olanda non è stata di certo una decisione semplice per un’azienda controllata dall’ex-premier del paese. La marcia verso un’alleanza europea è destinata in prospettiva ad annacquare il peso dei Berlusconi nel capitale di Mfe. Come è successo agli Agnelli quando hanno unito Fiat e Chrysler o a Leonardo Del Vecchio con la fusione Essilor-Luxottica. «Mediaset è italiana e si lancia verso un’avventura internazionale» ha rivendicato ieri un patriottico Pier Silvio. Il rischio però – malgrado cambio di residenza e buona volontà del management – è che Cologno, se le alleanze rimarranno sulla carta, resti un peso mosca in mezzo a una guerra riservata ai pesi massimi.