La Stampa, 8 giugno 2019
La moglie di Fabio Volo si racconta
«Fra qualche giorno partirò con i miei figli per l’Aniwa Gathering, un raduno nello Stato di New York a cui partecipano 40 sciamani provenienti da varie tribù. Staremo in tenda, a contatto con la natura, proprio come facevano i nativi americani». Johanna Hauksdottir, figlia di Hauk in base al sistema dei patronimici islandesi, Maggy per i fan che seguono il suo blog «Mother’s Spell», ringrazia la cameriera che le ha appena servito un centrifugato ai frutti verdi con un sorriso pieno di energia decisamente atipico per un lunedì mattina milanese. Seduta al tavolo di un bar all’Arco della Pace, non lontano dal suo appartamento e dagli studi di Radio Deejay dove lavora il compagno Fabio Volo, ha appena ricevuto una copia di Splendere (Mondadori), il suo debutto nel mondo dell’editoria. Centosettantasei pagine di consigli per cambiare la propria vita che nascono dal suo lavoro di insegnante di pilates ma soprattutto dalla sua infanzia a Kópavogur, nei dintorni di Reykjavik.
Johanna, nel libro parla di respirazione, esercizio fisico e alimentazione. Però fin dalle prime pagine mette l’accento sulla gradualità. Le fanno paura i cambiamenti radicali?
«Le grandi cose cominciano piano piano. Me lo ripete spesso la mamma di Fabio: il fuoco parte piccolo e diventa sempre più forte, fino a fare paura. E poi io sono cresciuta insieme alle mie due nonne, che oggi hanno 76 e 86 anni. Entrambe hanno un rapporto strettissimo con la natura e me l’hanno trasmesso. Sono due donne gentilissime ma anche severe: ho dovuto imparare a fare le cose come dicevano loro, giorno dopo giorno».
Come l’ha influenzata crescere fra vulcani, ghiacciai e cascate?
«Penso che la mia immaginazione sia molto sviluppata perché da piccola ho trascorso tanti giorni all’aperto. Spesso facevo spaventare i miei genitori perché sparivo per delle ore e poi mi ritrovavano sulla scogliera a guardare l’oceano o in cima a una collina. La natura ti mette dentro la testa delle fantasie molto forti, ti allena a sognare».
In Islanda i neonati vengono lasciati dormire da soli all’aria aperta. L’ha fatto anche con i suoi figli?
«Per noi è una cosa naturale, come allattare in pubblico. Oggi, che i bambini hanno 4 e 6 anni, quando siamo in Islanda amo molto osservarli dalla finestra mentre corrono in giardino, totalmente liberi. È ancora più bello quando gioco con loro sotto la pioggia e Fabio si affaccia urlando: “Ma cosa fate, siete matti?”. Si preoccupa anche quando racconto le storie degli elfi e dei troll: dice che fanno troppa paura. Io cerco di usarle per aiutare i bambini a fare le cose che non vogliono fare. Se il protagonista di una fiaba cammina per ore, sono pronti a farlo anche loro».
Il suo Paese sta diventando una meta popolare. Crede che il turismo di massa possa contaminarlo?
«All’inizio gli islandesi erano molto felici di poter condividere la bellezza di certi luoghi con altre persone. Poi è subentrata la tristezza: in Islanda c’è un grandissimo rispetto per l’ambiente e nessuno butterebbe mai una cartaccia in mezzo alla strada».
Perché nonostante l’amore per la natura a un certo punto ha sentito il desiderio di andarsene a New York?
«Sono la più grande di quattro fratelli e sono diventata grande molto in fretta. A 16 anni me ne sono andata di casa e due anni dopo sono partita per il Sud Africa per lavorare in un ristorante. Andare così lontano è stata un’esperienza dura ma esaltante. New York è stata la tappa successiva di questo percorso verso l’indipendenza».
Da qualche anno vive a Milano. Come le sembrano l’Italia e i genitori italiani?
«Qui si vive benissimo. Rispetto a sette anni fa Milano è molto più bella e molto più aperta. Certo, se penso alla mia infanzia e a quella dei miei figli, mi sento un po’ in colpa. Cerco di rimediare lasciandoli scorrazzare al parco Sempione ma a volte mi si avvicina qualche nonna che mi dice: “Penso che ai genitori di quei bambini non piacerebbe molto quello che lei gli permette di fare”. Mi scambiano per la baby sitter…».
Nel capitolo sul cibo consiglia di allineare l’alimentazione alle proprie origini. Come mai?
«Ho ereditato il mio Dna dai vichinghi, gente che mangiava pesce, agnello e bacche di montagna. Se mangio troppa frutta sto male. Non c’è una dieta che funzioni per tutti. E poi abbiamo una responsabilità verso l’ambiente che ci circonda: l’avocado è buonissimo e fa bene, ma basta mangiarne uno a settimana. Qui in Italia poi, avete la verdura più buona del mondo: dovreste sfruttarla di più, evitando di cuocerla troppo».
Il suo compagno segue i suoi suggerimenti per vivere in modo sano o fa di testa sua?
«Fabio è una persona molto curiosa e fin da quando ci siamo conosciuti ha cercato di interessarsi a un certo tipo di pratiche. Fa un passo alla volta, ma a me in fondo piace così com’è. Non voglio che cambi troppo».