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 2019  giugno 08 Sabato calendario

Intervista a Lang Lang

Un matrimonio, il primo, (lo scorso weekend a Parigi con la pianista tedesco-coreana Gina Alice Redlinger, 24 anni) e un disco, il sedicesimo, segnano la primavera di Lang Lang. Il pianista cinese di 36 anni appare del tutto ristabilito dalla tendinite al braccio sinistro – diffusa malattia professionale – che nell’autunno del 2017 lo aveva obbligato a rallentare i vertiginosi ritmi produttivi. Incontrarlo, significa entrare in una dimensione star-system che, tranne rarissime eccezioni (lui è una di queste) è riservata agli attori cinematografici e a qualche cantante pop, in genere avanti con gli anni. Capace di trasmettere l’empatia di quel «pensare positivo» che lo caratterizza e aiuta a comprenderne il successo, ha affrontato un New York – Roma – New York in un giorno per presentare Piano book, il nuovo cd prodotto dalla Deutsche Grammophon. Nell’aprile 2020, alla Scala di Milano, eseguirà Le variazioni Goldberg di Bach. 
Nell’album lei alterna autori molto diversi – Bach e Sakamoto, Beethoven e Scott Joplin, Debussy e Mozart, Schubert e canzoni popolari cinesi … Come li ha scelti?
«Tutti gli appassionati di musica, tutti i ragazzi che studiano pianoforte conoscono questi brani e sanno che suonarli bene non è facile. Ho voluto farli apparire per quello che sono: veri capolavori. Quanto alla musica popolare, è essenziale per l’identità culturale di tutti. Ha influenzato profondamente i compositori classici».
Ogni ascolto dura pochi minuti. Pensa che oggi la capacità di mantenere a lungo l’attenzione sia diminuita?
«E’ molto diminuita. Un problema che riguarda tutte le arti, non soltanto la musica classica». 
Uno studioso italiano, Piero Rattalino, sostiene che oggi gli interpreti di musica classica sono diventati «freddi», non sanno trasmettere emozioni capaci di conquistare il pubblico. Condivide?
«Se non dai emozione, sincera emozione, il concerto non funziona. Il grande pubblico, che magari non è educato musicalmente, lo conquisti soltanto con l’emozione». 
E’ per questo motivo che lei suona in maniera così teatrale, con grandi gesti delle braccia, delle mani, accentuando le espressioni del volto, degli occhi?
«Dipende dal repertorio: se suoni Rachmaninov o Liszt, lo puoi fare, è musica che non solo tollera, ma richiede una forte gestualità. Con Chopin, con Bach non è possibile, significa andare contro la musica». 
Bach: il prossimo anno lei tornerà in Italia, alla Scala e a Santa Cecilia, suonando le Variazioni Goldberg. Su quale aspetto della sua esecuzione dovremo più concentrarci?
«Il suono. Curerò molto le dinamiche, in particolare il piano e il pianissimo. Eseguirò tutti i ritornelli e le braccia staranno ferme, prometto».
La sua autobiografia non è un capolavoro letterario, ma racchiude pagine molto sincere quando racconta la durezza della sua formazione, la spietata competitività tra i giovani musicisti cinesi. Erano gli anni Ottanta/Novanta del Novecento. E’ ancora così?
«Era un’epoca molto più dura. Allora la Cina non era connessa, era ai margini del mondo, oggi è al centro. La gente ha più soldi, può viaggiare, studiare all’estero, scoprire altre opportunità di carriera e il mercato musicale si è enormemente allargato».
La chiave di volta è l’educazione musicale?
«E’ decisiva, perché la nostra musica non venga emarginata. Il più grande impegno della mia Fondazione è creare ovunque nuove scuole di musica e rafforzare quelle che già esistono». 
Musica classica e leggera. Esiste una differenza?
«Non amo i pop-singer. La differenza la fanno le persone: quando suono con John Legend o con Herbie Hancock non avverto alcuna differenza, solo il piacere di lavorare e improvvisare con loro. Se vuoi tentare nuove strade, devi scegliere le persone giuste».