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 2019  giugno 08 Sabato calendario

Cecchi Gori raccontato in un documentario

Gli Oscar al centro della tavola imbandita, le foto con il gotha del cinema, i vecchi amici e il tramonto di giugno dalla terrazza dei Parioli. L’ennesima rinascita di Vittorio Cecchi Gori non poteva che avere come sfondo la vecchia casa di famiglia: «Questa è figlia del “Sorpasso”, i miei la comprarono un anno dopo quel film. Ci sono tornato da poco, prima non ci volevo mettere piede, poi è scattato qualcosa, il passato è andato in gloria ed eccomi qui». La verità, dice di se stesso il protagonista del docufilm di Simone Isola e Marco Spagnoli «Cecchi Gori - Di vizi e di virtù»,è che «io sono sempre rimasto molto figlio. Ancora adesso, in queste stanze, mi aspetto sempre di veder spuntare mio padre e mia madre». Da questa prospettiva la vita avventurosa dell’ex-magnate del cinema acquista un sapore inedito, è anche la cronaca dell’esistenza di un erede che, fin dall’inizio, ha dovuto fare i conti con un’ingombrante figura paterna, navigando nel mare agitato di un’Italia molto diversa da quella in cui Mario Cecchi Gori aveva costruito la sua fortuna: «Rifarei tutto quello che ho fatto, non ho accettato prepotenze e sono rimasto coerente. Alla fine stare dalla parte della ragione mi ha centuplicato le forze». E dire che i momenti bui non sono mancati, a iniziare dagli arresti che, a partire dal 2002, hanno scandito la fase discendente della parabola di Vittorio: «Non sono cose che ho vissuto bene, ma sono sempre rimasto sereno. Ho capito che eravamo nella follia del potere e, coraggiosamente, ho affrontato la situazione. Non è facile passare da Palazzo Borghese a Regina Coeli, ma ho resistito bene».
Al centro del docufilm (in pole position per la prossima Mostra di Venezia) c’è una grande epopea familiare intrecciata con la storia del cinema italiano, ma c’è anche il racconto di un pezzo d’Italia, l’esplosione delle tv private, i conflitti di potere, il calcio e la politica: «Io sono nato con il cinema, da quando mio padre mi portava da piccolo sui set. Nei primi Anni 90 successe che mi chiamò Martinazzoli, la Dc era il partito che avevamo sempre frequentato, ma il mio mestiere non era quello, la mentalità non mi apparteneva, e poi, a un certo punto, la Dc mi si è sbriciolata sotto i piedi». I film, invece, hanno dato sempre grandi soddisfazioni, erano il frutto di incontri magici , rievocati ancora adesso con emozione: «Dopo “Un sacco bello” e “Bianco rosso e Verdone” - ricorda Carlo Verdone, intervistato nel film -, sono tornato all’università, ero depresso, il telefono non squillava e pensavo che fosse finito tutto lì. Poi, un giorno, fui convocato da Mario Cecchi Gori, voleva un film brillante, che facesse ridere, da realizzare in totale libertà. Vittorio era presente all’incontro. Girai “Borotalco”, fu un grande successo commerciale. Mario aveva capito per primo che non sapevo fare solo i personaggi, le “facce”». Per Leonardo Pieraccioni «l’incontro con Vittorio e Rita è stata una grande fortuna, facevano questo mestiere con energia e incoscienza. Se avessi lavorato con altri produttori, forse mi sarei fermato al primo film». Sui set si discute e ci si scontra, e Vittorio lo sa bene: «Mio padre - svela - non era convinto che, nel “Sorpasso”, Trintignant dovesse morire. Aveva paura che il pubblico non avrebbe gradito. Nella “Vita è bella” Benigni voleva che si sentisse il rumore dei mitra che uccidono il protagonista. Io non ero d’accordo. E invece era giusto, la commedia all’italiana ha un’ossatura che può prevedere una fine tragica».
Intorno allo schermo fiorivano anche altre amori, il calcio, le donne: «A 40 anni bisognava proprio che mi sposassi. Con Rita Rusic è durata 20 anni, abbiamo un buon rapporto. Però mi riesce difficile immaginare una passeggiata con lei e con Valeria Marini. Capisco che nascerebbero dei dissidi». La passione per la Fiorentina rivive nel film attraverso le interviste a Giancarlo Antognoni, Claudio Ranieri e Roberto Mancini, Ct della Nazionale Calcio Italiana. Ed è ancora forte anche la voglia di cinema: «Certo che ho un prossimo progetto. Non ho mai smesso di pensare ai film, durante i viaggi in aereo avevo l’abitudine di scrivevo idee di sceneggiature, una volta me ne venne una sui 7 peccati capitali, la dovetti cedere e quel soggetto è diventato”Seven”, molto più truculento di come io l’avevo immaginato. Un successo ciclopico».
Oggi, dicono Isola e Spagnoli , «Vittorio è un uomo solo, ma si sente ancora il magnate, il produttore, il Presidente della squadra di calcio, il playboy. Anziano, malandato, ferito nell’animo, ma, nonostante tutto, ancora determinato e pronto a raccontare». Seduto in poltrona, davanti alle ombre calanti della sera, dopo il brindisi e dopo la torta (c’è anche Franco Nero che rievoca i tempi in cui veniva ospitato insieme a Vanessa Redgrave ) Cecchi Gori non perde la sua vis battagliera: «Oggi sono sereno, ho attraversato un periodo difficile. A colpirmi è stata la miseria dell’animo umano, mi auguro che quello che è accaduto a me non accada ad altri. La tv e il cinema sono entrati in competizione, e non doveva andare così. Sono stato vittima di un conflitto d’interessi, in un momento politico particolare». Tutto il resto è vita e, dopo aver sfiorato la morte con l’ictus del giorno di Natale del 2017, Vittorio è ancora convinto che valga la pena viverla.