Corriere della Sera, 8 giugno 2019
I 13 progetti per le grandi navi
Sempre dopo, i mea culpa. Dopo. La «Lirica», identica all’«Opera», ha disceso ieri il canal della Giudecca con tre mega-rimorchiatori che «tiravano» il quadruplo dei due sconfitti dalla sbandata di domenica. Meglio tardi che mai. Ma…
Erano le cinque del pomeriggio. Davanti alla «Msc Lirica» (stessa lunghezza, stessa larghezza, stessa stazza della nave di domenica) c’erano due bestioni da tiro di 9.000 cavalli l’uno. Dietro, un altro. Totale 27.000 cavalli: quattro volte più possenti dei due rimorchiatori (totale 7.000) che non ce la fecero domenica scorsa a evitare l’incidente navale e la catastrofe mediatica della nave Msc.
Come uscirne? Ecco cosa si stanno chiedendo tutti. Come salvare il business delle crociere con navi sempre più spropositate che hanno nelle vedute dall’alto di San Marco, delle calli e dei campielli uno dei punti di forza e insieme la stessa integrità di Venezia? Le ipotesi finite sul tavolo di Danilo Toninelli sono state tredici. Ridotte poi a una rosa di tre. Con studi, analisi, previsioni, algoritmi così profondissimi ed esaurientissimi che il ministro non ha mai sentito il bisogno, in un anno, di farsi un giro in laguna (a parte un veloce saluto al sindaco Luigi Brugnaro) per vedere di persona quali fossero le alternative e magari, già che c’era, dare un’occhiata al Mose e cioè all’infrastruttura più costosa costruita in Italia nell’ultimo mezzo secolo: 5,5 miliardi più 2,5 per le opere di salvaguardia. Senza avere ancora visto l’inaugurazione. Vedrà tutto, se avrà un po’ di tempo, la prossima volta.
Cercando di riassumere lo stato delle cose, i progetti ruotano, per dirla alla veneziana, intorno a due «bricole»: dentro la laguna o fuori dalla laguna. Per questa seconda ipotesi si battono gli ambientalisti, le associazioni come Italia nostra o il Fai e il comitato «No Grandi Navi» che, come spiega Tommaso Cacciari tra i promotori della protesta di oggi, «hanno sensibilità diverse e più o meno radicali, tanto che quelli di Fridays For Future immaginano le crociere fuori non solo da Venezia ma dall’universo intero ma su un punto sono d’accordo: mai più quelle navi dentro la laguna.
Non meno divisi sono quanti teorizzano lo spostamento delle navi «fuori». Come quelli del progetto «Venis Cruise» della «Duferco Italia holding» e dell’ex viceministro veneziano Cesare De Piccoli che immagina un nuovo terminal alla sponda del Cavallino davanti alle opere del Mose dove fare scendere i viaggiatori per smistarli verso la Marittima «con sei motonavi ecocompatibili di nuova generazione» in grado di trasportare una gran quantità di gente senza sollevare moto ondoso. Le opere sarebbero «completamente rimovibili, in moduli prefabbricati di calcestruzzo» (testuale) e rispetto ad alternative in qualche modo simili (a Malamocco invece il terminal utilizzerebbe la piattaforma del Mose) ha un vantaggio: è l’unico progetto (nonostante robuste inimicizie) ad aver avuto già l’ok della valutazione impatto ambientale. Per non dire dell’idea avveniristica proposta Fernando De Simone a nome dei norvegesi di Norconsult specialisti in tunnel (il più lungo a Seikan in Giappone, sotto il mare, misura 53,8 chilometri): per un miliardo e 200 milioni di euro suggerisce una galleria che colleghi un immenso porto offshore a 15 chilometri dalla costa («l’unico modo per far vivere ancora Venezia come porto») a Marghera, alle ferrovie, all’aeroporto.
Ancora «fuori» dalle acque serenissime sono le tre proposte (già ridotte a due col taglio dell’ipotesi di un porto a Malamocco) avanzate da Toninelli. Una alla bocca del Lido dalla parte di San Nicolò (che il ministro chiama San Nicola), l’altra a Chioggia. Dove però c’è un problema: il contestatissimo deposito Gpl. Impossibile già prima abbinarlo alle navi da crociera, figuratevi dopo il disastro di domenica. Il sindaco, per quanto grillino, non ha avuto scampo: mai. Come finirà? Boh…
Certo non sarà facile spuntarla per chi si batte per il porto «fuori». Negli studi di fattibilità consegnati al ministero, il Porto scrive: «Il terminal presenta forti problematiche connesse all’esposizione meteomarina che pregiudicano frequentemente l’accessibilità alla sicurezza delle banchine che impediscono lo svolgimento delle operazione di imbarco/sbarco». Traduzione: in caso di burrasca le navi non potrebbero attraccare. Infatti, dicono gli esperti, sono in grado di mantenere l’ormeggio col vento fino a 20-25 nodi, ma se arriva a 40 come è successo in questi anni?
Gran parte dei progetti finora discussi, comunque, sono centrati sulla scelta di consentire alle navi da crociera di restare «dentro» la laguna. Anzi, con l’ormeggio il più possibile vicino alla Marittima, a San Marco, ai tragitti di oggi. Certo, spiega Francesco Galletti, direttore della Clia (Cruising Lines International Association) che difende gli interessi degli armatori, «è pacifico che le navi più grandi non possono più passare per il canale della Giudecca. Ci va bene però la soluzione prospettata quando era ministro Graziano Delrio: le navi fino a 40.000 tonnellate dovrebbero seguire il percorso di oggi attraverso la Giudecca, le più grandi entrare lungo il Canale dei Petroli e fermarsi a Marghera. Le medie proseguire da lì fino a Venezia e alla Marittima lungo il canale Vittorio Emanuele III».
Tutto facile, tutto veloce, tutto scontato, come ha sbuffato Matteo Salvini. Il ministro dell’Agricoltura e del turismo, Gian Marco Centinaio, concorda: «La soluzione c’è e si tratta del canale Vittorio Emanuele». «Non se ne parla», è tornato a mettersi di traverso il ministro delle Infrastrutture: «Non c’è nessun progetto su Marghera, solo due paginette». «Ma se il progetto doveva farlo lui!», ha ribattuto Luigi Brugnaro. Punto fermo: il «quasi ok» dell’ultimo Comitatone del 7 novembre 2017.
Certo è che quello che i più favorevoli chiamano «il ripristino» del canale Vittorio Emanuele come se si trattasse solo di riaprire un passaggio chiuso, si trovano alle prese con problemi seri. Perché magari non sarà vero che l’obiettivo è allargare il canale fino a oltre 200 metri causando uno sconquasso e portando grandi quantità di acqua diritta dal mare al cuore storico di Venezia. Ma certo quel canale costruito nel 1925 con una larghezza di 28 metri, oggi è sull’ottantina e stando alle prescrizioni delle autorità marittime dovrebbe essere ampliato quanto basta per far passare imbarcazioni larghe un terzo. Il conto è presto fatto: 29 metri di larghezza una nave da crociera come l’Opera, almeno 90 metri la larghezza del canale. Per ora. Perché le nuove navi sono larghe anche oltre i 42. Moltiplicate per tre… Quanto alla profondità, oggi è tra i 4 e i 7 metri: dovrebbe arrivare almeno a dieci e mezzo. Con tutti i rischi paventati dagli studiosi di ingegneria idraulica: senza opere obbligatorie di contenimento degli effetti, rifacendo gli errori fatti col Canale dei Petroli la laguna rischia di essere nuovamente «devastata». E se queste opere non venissero fatte dando la precedenza assoluta all’apertura subito subito del canale? «Questo è un problema che non può essere a carico nostro», risponde il rappresentante delle società di crociera. In sostanza: chi deve studiare studi, chi deve agire agisca (lo Stato, ovvio) ma «noi non accettiamo alcuna proposta di porti offshore».
Quanto siano scivolose oggi certe rassicurazioni, dopo l’«impossibile» successo a San Basilio, lo dice ad esempio una relazione tecnica della stessa Autorità Portuale del luglio 2014: «Le lavorazioni industriali e chimiche presenti a Porto di Marghera pongono limiti vincolanti, in alcuni casi addirittura inconciliabili, con il transito e la presenza di passeggeri». Di più: «Per consentire un passaggio costante e continuato delle navi da crociera in totale sicurezza, sarebbe necessario dismettere tutte le quindici attività “a rischio di incidente rilevante” presenti nell’area». Con «la perdita di 2.020 addetti e l’interruzione di qualsiasi piano di sviluppo». Il tutto dopo avere speso per il porto commerciale/industriale «226 milioni di euro in escavi e 184,5 milioni in opere ed infrastrutture». Certo, c’era allora un altro presidente del porto. Ma basta politicamente cambiare cavallo con un altro perché di colpo i rischi gravissimi diventino polemichette da ballatoio? E noi dovremmo fidarci?