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 2019  giugno 07 Venerdì calendario

La pazzia di Fausto Coppi 70 anni fa

La storia non è fatta solo di guerre, imperatori e intrighi di avide famiglie nobili. Per fortuna la storia sono anche le imprese portentose di alcuni, che scoperchiano davanti all’umanità nuovi panorami del possibile.
Ecco perché è storia il 20 luglio 1969, quando Armstrong ha posato il suo stivale imbottito sul suolo della Luna. Ecco perché lo è il 10 giugno di vent’anni prima, quando Fausto Coppi ha vinto la Cuneo-Pinerolo, con una cavalcata solitaria che mette i brividi ancora oggi, nel suo settantesimo anniversario.
Giro 1949, la Maglia Rosa è Adolfo Leoni, ma il duello vero è tra Coppi e Bartali. Infatti a inizio tappa, mentre Gino fora su un attacco di Volpi, Coppi si alza sui pedali e va.
Gli altri non ci credono, gli urlano che è presto, stanno al cinquantesimo dei 254 km di una tappa durissima. Meglio risparmiarsi, rimanere nel gruppetto e aspettare: dove vai Fausto, dove vai! Ma lui non ci sente, sta già a mezz’aria nel suo volo di airone, e un airone con gli umani non ci parla, un airone apre le ali e vola via.
Così, senza voltarsi, scalerà cinque montagne che stroncano il fiato solo a nominarle: Colle della Maddalena, Col de Vars, Izoard, Monginevro e Sestrière. La neve ai bordi della strada, addosso una pioggia gelida e sottile che taglia la pelle.
Quando la radio comincia la sua trasmissione, Mario Ferretti esordirà con parole che sono storia anch’esse: «Un uomo solo al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi».
Il Campionissimo forerà cinque volte, mentre Bartali sempre più lontano alle spalle avrà il cambio bloccato da un mazzo di fiori, lanciatogli da un tifoso in cima al Sestriere.
«Un uomo solo al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi»
Al traguardo, dopo 192 km di fuga solitaria, Coppi gli darà 11 minuti e 52 secondi, un’eternità. Come in eterno resterà il ricordo di questo impressionante spettacolo di forza, classe, coraggio e scelleratezza.
Resterà nella storia, appunto. E allora è giusto ed esaltante scoprire che – come fioriscono in tutto il mondo accurate rievocazioni delle battaglie che hanno segnato il cammino dell’uomo – lunedì prossimo, a settant’anni da quel giorno epico, una trentina di arditi velocipedisti della Nuvi (Nuova associazione velocipedistica italiana) si ritroverà a Cuneo davanti al Bar Minerva, da dove partì quella tappa. Alle 17.30 della domenica ci sarà la presentazione, poi alle 4 del mattino prenderanno il via, ognuno con bicicletta e abbigliamento del dopoguerra, e percorreranno lo stesso tracciato, avventurandosi per la Valle Stura e sulle cinque diaboliche cime fino a Pinerolo. Con qualsiasi condizione meteo, senza una vera assistenza al seguito, come negli anni del ciclismo eroico quando ognuno era «ammiraglia di se stesso». Si porteranno solo quel che Coppi raccomandò ai suoi gregari prima della partenza: «Pane, salame e lanternino», profetizzando un epilogo nelle tenebre.
All’arrivo sui viali di Piazza Matteotti, gli arditi non troveranno televisioni, giornali, il tifo della folla accorsa ad acclamarli. Ma non importa.
Come non importa se il triste schermetto del telefono ci spiega che per andare da Cuneo a Pinerolo c’è un percorso più breve, e in auto si copre in un’ora appena.
Coppi quel giorno ce ne mise nove e venti minuti, e i trenta arditi ci impiegheranno tutto il lunedì, che strapperanno alle rigide scadenze del lavoro, alla dannata prudenza quotidiana che soffoca nella culla ogni boccio di meraviglia.
Il loro gesto è sublime anche per questo, per la sua stupenda insensatezza. E infatti valgono per loro le prime parole di Coppi, sfiancato, subito dopo aver compiuto la sua impresa: «Non avevo neppure pensato a una pazzia simile, anzi, ho sbagliato».
È questo il tipo di pazzia che scuote gli schemi, che scalza l’uomo dal solco dell’abitudine e lo scaraventa verso nuove portentose possibilità.
Con questo manipolo di splendidi faticatori, lunedì la gloria del passato assalterà il presente, e nelle loro pedalate visionarie frullerà per tutti noi un futuro più appassionato, selvaggio e libero.