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 2019  giugno 07 Venerdì calendario

Università, grande fuga dal Sud

Non si arresta l’emorragia di capitale umano dal Mezzogiorno che, nel solo 2018, ha perso il 26,4% dei diplomati. Giovani che hanno deciso di trasferirsi al Centro e, soprattutto, al Nord, per laurearsi, impoverendo ulteriormente il territorio di provenienza. In un contesto, quello delle università italiane, ancora di debolezza. A fronte di un aumento delle iscrizioni del 9,3% negli ultimi cinque anni, infatti, dal 2003, il nostro sistema universitario ha perso 40mila matricole, registrando una contrazione del 13%, con punte del 26% proprio nelle regioni del Sud.
Questi dati sono contenuti nel Rapporto sul profilo e sulla condizione dei laureati, presentato ieri dal Consorzio interuniversitario AlmaLaurea, che ha analizzato le performance di 280mila laureati del 2018 e di 640mila degli anni 2013, 2015 e 2017.
Sebbene quasi la metà dei laureati (il 45,9% per la precisione), abbia conseguito il titolo nella stessa provincia in cui ha ottenuto il diploma di scuola superiore, al Sud questa tendenza si inverte clamorosa- mente. Se, infatti, al Nord e al Centro, il saldo migratorio è positivo (rispettivamente del 21,2 e del 21,4%), al Sud è negativo per il 24,3%. «Pertanto – si legge nel rapporto di AlmaLaurea – il Sud perde, al netto dei pochissimi laureati del Centro-Nord che scelgono un ateneo meridionale, quasi un quarto dei diplomati del proprio territorio».
Secondo la Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), tra il 2002 e il 2017 il Meridione ha perso più di 600mila giovani e più di 240mila laureati, pari a una perdita in termini economici di oltre 30 miliardi di euro. Più di un intero ciclo di Fondi strutturali europei. Inoltre, i circa 170mila migranti universitari che scelgono di studiare al Nord, determinano un impatto negativo per gli atenei meridionali che la Svimez ha stimato in circa 1 miliardo di euro l’anno. A cui vanno aggiunti almeno altri due miliardi di perdite “indi-rette”, in termini di spesa per consumi privati, che viene effettuata al Nord.
«È necessario e urgente rompere il circolo vizioso che fa discendere, dalle minori immatricolazioni, anche minori risorse per le università del Sud», commenta il direttore della Svimez, Luca Bianchi. «I giovani del Sud vanno a studiare al Nord perché, in questo modo, si avvicinano al lavoro – sottolinea –. Perciò, se vogliamo aggredire questo problema, dobbiamo investire per rafforzare il contesto produttivo del Mezzogiorno e fare in modo che le competenze cresciute negli atenei possano diventare imprese. È questo il circolo virtuoso che serve allo sviluppo del Mezzogiorno». Anche il contesto familiare condiziona fortemente la scelta universitaria. Per cui, mentre il Rapporto AlmaLaurea mette in evidenza un aumento, al Nord, della quota di laureati con famiglie con un solido retroterra socio-economico e culturale (classe sociale elevata e almeno un genitore laureato), allo stesso modo rimarca uno speculare calo nella ripartizione meridionale. In sostanza, scrivono i ricercatori di AlmaLaurea, nel passaggio tra il diploma e la laurea, il Nord “guadagna”, a scapito del Sud, capitale umano con un retroterra culturale ed economico più favorito. Infine, differenze territoriali importanti si registrano anche sul fronte della regolarità degli studi. Rispetto a un’età media nazionale alla laurea di 25,8 anni (in calo rispetto ai 27 anni del 2008), a parità di condizioni, rispetto a chi si laurea al Nord, chi ottiene il titolo al Centro impiega il 10,1% in più e chi si laurea al Sud o nelle Isole il 19,5% in più.
«E qui siamo di fronte a una doppia discriminazione – sottolinea Bianchi –. Chi se lo può permettere, manda i figli a studiare al Nord, mentre le famiglie povere si arrangiano. Per questo, come chiediamo da tempo, accanto a un nuova politica di investimenti per le università del Sud, in grado di avvicinarle al sistema delle imprese, creando valore e lavoro per il territorio, serve anche una vera politica del diritto allo studio. Per restituire libertà di scelta alle famiglie e ai giovani e rendere il Sud non soltanto “attraente”, come è da sempre, ma finalmente “attrattivo”».