La Stampa, 7 giugno 2019
«Non smetto». Intervista a Vettel
Primo, smettetela di dire che si ritira. «Ho una missione: vincere con la Ferrari». Sebastian Vettel giura fedeltà alla causa. I malumori, l’aria scocciata, la delusione per i risultati avevano insinuato il sospetto che la sua carriera, dopo quattro Mondiali vinti in gioventù, fosse a un capolinea. «Falso, non ho mai detto nulla del genere» si racconta dalle rinnovate terrazze vip del circuito di Montreal, due piani sopra i box. Le è piaciuto il restyling dell’autodromo? «Mi piacevano di più i tendoni, perché sembrava di essere in campeggio». Se non gliel’hanno scritta, è una battuta perfetta per alimentare il dualismo con un Lewis Hamilton sempre più incollanato, tatuato, cool. Mentre uno frequenta i migliori party di Manhattan, l’altro pensa ai picchetti per montare una canadese.
Che cos’è questa storia di un suo addio a fine stagione?
«Posso ritirarmi quando mi pare, così come il team è libero di cacciarmi quando vuole. Però io sono contento della Ferrari e spero che la Ferrari sia soddisfatta di me. Ho fame di successi».
Dove trova la motivazione, anno dopo anno?
«Penso a vincere con questa macchina rossa».
Solo questo?
«Le pare poco?».
Diciamo che a volte non sembra entusiasta.
«Non so chi lo dica, ma non mi sembra corretto giudicare una persona se non la si conosce da vicino. Se scendo dalla macchina senza aver trovato il giusto feeling alla guida, probabilmente sembrerò scontento. Se finisco una gara senza raggiungere il risultato che meritavo, di nuovo non sarò felice. Quest’anno non ne ho ancora vinta una, l’obiettivo alla fine è sempre quello: se lo fallisci, ci sarà qualcuno che sorride più di te».
Il primo giorno di test in Spagna lei lo definì quasi perfetto. Che cosa è successo da lì in avanti?
«Le condizioni erano diverse, il clima più freddo. Conosco bene il circuito di Montmelò e ho dei riferimenti precisi in testa: la macchina rispondeva benissimo. A Melbourne, abbiamo cominciato a faticare. Abbiamo capito i punti deboli della macchina, la sfida è correggerli per migliorare. Inutile girarci intorno: abbiamo tre gare per tornare a battere la Mercedes. L’arbitro del nostro lavoro sarà il cronometro».
Essere in ritardo in classifica porta a correre più rischi?
«Dipende. Rischi ne prendo sempre quando cerco di spremere il massimo dal mezzo che guido. La Mercedes è più forte, dobbiamo capire come mai, però non è certo sufficiente un copiaincolla o una mano di vernice grigia per diventare altrettanto veloci».
Ha senso pensare ancora al campionato?
«Il campionato è lungo, io ora penso al Gp del Canada».
Avrà pure un obiettivo più a lungo termine.
«Sogno sempre di vincere il titolo, è il motivo per cui sono qui. Ma non è questo l’aspetto rilevante: il primo passo è ottimizzare i risultati di ogni gara. Esistono aree in cui siamo deboli e su cui stiamo lavorando».
Marchionne disse che Vettel è un pilota tedesco con un carattere latino.
«Il passaporto è una cosa, il carattere un altro, su questo sono d’accordo. Le emozioni sono parte della vita quando fai qualcosa che ti appassiona. Se non amassi il mio lavoro, non vedreste reazioni. Invece, se le cose vanno male mi arrabbio parecchio».
Leclerc le ricorda un po’ il Vettel al debutto in Red Bull?
«No. Non è corretto fare confronti, perché ogni persona è diversa».
Dei suoi 8 compagni di squadra, quale è stato il più difficile da battere?
«Di nuovo, non è un discorso corretto. In Formula 1 hai sempre compagni competitivi, con caratteristiche e qualità diverse».
Come ha reagito alle critiche ricevute nel 2018?
«Dipende da chi critica. Chi ti sta vicino conosce le cose, ma gli altri? Se uno ti incrocia in aeroporto e ti dice che i tuoi occhiali sono orribili, chissenefrega».
A che punto della carriera ha deciso di salire in Ferrari?
«Quando ero bambino facevo il tifo per Schumacher e la F1 era un sogno così bello e lontano che ancora non pensavo a realizzarlo. Quando ho debuttato non avevo nessuna ambizione, perché già ero entusiasta dell’ambiente in cui mi trovavo. La Red Bull mi ha dato la possibilità di entrare in F1, di cominciare questo viaggio incredibile, di vincere gare e poi campionati. Nel 2014 ho capito che c’era di più e ho sentito che era il momento di cambiare».
Qual è il suo ultimo ricordo di Schumacher in pista?
(lunga pausa) «Quando ho gareggiato con lui è stato speciale. Però sono stati momenti che non ho apprezzato abbastanza. Solo quando perdi una cosa ti rendi conto del suo valore. Continuo a pregare per lui: è un amico dopo essere stato un idolo. Suo figlio Mick cresce molto bene, ha i valori giusti. La tristezza è che il padre non possa essere qui a vederlo: ne sarebbe orgoglioso».