Il Sole 24 Ore, 7 giugno 2019
India hub industriale del mondo, Modi ci riprova
Il terzo taglio dei tassi deciso quest’anno dalla Banca centrale indiana ricorda quale sarà la priorità per il nuovo Governo di New Delhi: stravinta la battaglia elettorale, con un successo di proporzioni mai viste nel Paese, per Nerendra Modi non ci sono più alibi, dovrà mantenere le promesse già fatte nel 2014, quando ottenne il suo primo incarico da premier. Cinque anni fa, il figlio di un venditore di tè diventato governatore del ricco Stato del Gujarat, conquistò l’India con il sogno di un Paese urbanizzato, industrializzato, libero dalla corruzione. Un Paese dove realizzare le proprie aspirazioni. Nonostante i risultati ottenuti, la promessa è rimasta per molti versi sulla carta.
Durante il primo Governo Modi, l’economia è cresciuta in media del 7,5% l’anno e ha spesso strappato alla Cina la maglia rosa di grande economia a più rapida crescita al mondo. L’accelerazione non è però bastata a mantenere uno dei molti impegni presi, quello di garantire un impiego ai 10-12 milioni di giovani indiani che ogni anno bussano al mercato del lavoro. Al contrario, la disoccupazione è salita: l’India non rilascia dati da due anni, ma un report dell’ufficio di statistica filtrato alla stampa (e smentito) attesta i senza lavoro al 6,1%, ai massimi da 45 anni.
L’economia è in frenata. Nell’ultimo trimestre il Pil è cresciuto del 5,8% e nel 2018 si è fermato al 6,8%, dal 7,2% del 2017, il dato più basso da cinque anni. E la Banca centrale (Rbi) ha ridotto le stime di crescita per l’anno prossimo dal 7,2 al 7 per cento. La produzione industriale a marzo si è contratta dello 0,1% su base annua. Le vendite di vetture sono crollate del 17% ad aprile e quelle di motocicli del 16 per cento. L’andamento delle due ruote, un settore dai volumi molto più ampi, è considerato un indicatore dello stato di salute delle zone rurali, dove si concentrano due terzi della popolazione.
Per ridare fiato all’economia, la Rbi ha tagliato i tassi ai minimi da nove anni, portandoli al 5,75%, con una sforbiciata di 25 punti base. Da parte sua, Modi ha annunciato, già in campagna elettorale, un piano infrastrutturale da 1.440 miliardi di dollari. E ha promesso di raddoppiare i redditi dei contadini entro il 2022.
L’obiettivo di industrializzare l’India, facendone un hub mondiale della manifattura, resta lontano. Il piano Make in India (incentivi agli investimenti e attrazione dei capitali esteri, provando a replicare un modello di sviluppo cinese proprio mentre Pechino lo abbandona) non ha dato i risultati sperati: gli investimenti diretti esteri sono arrivati (44,4 miliardi di dollari nel 2018, solo equity), ma il manifatturiero resta attorno al 18% del Pil, dal 15% del 2014.
L’introduzione della Gst, un’imposta nazionale sull’acquisto di beni e servizi (simile all’Iva), che ha cancellato gran parte della congerie di tasse che frammentavano il mercato indiano, può essere considerato un risultato storico. Era attesa da decenni e anche il Congresso aveva provato a vararla. La confusione nelle prime fasi di applicazione ha però rallentato l’attività economica. Stesso effetto lo ha avuto la controversa operazione lanciata nel 2016 per spazzare via il sommerso (la demonetizzazione). Il ritiro delle banconote da 500 e 1.000 rupie (6,5 e 13 euro) e la sostituzione con biglietti nuovi ha coinvolto l’86% del contante in circolazione e ha mandato in tilt l’attività economica, costando qualche punto percentuale di Pil al Paese e molta popolarità al Governo. Un errore perdonato, come dimostrano i risultati elettorali: il Bjp di Modi da solo ha 303 seggi alla Camera e la colazione che guida 350, ben oltre la soglia di maggioranza di 272 seggi.
La medaglia della demonetizzazione ha poi un’altra faccia. È anche grazie a quell’operazione che oltre 200 milioni di persone hanno ottenuto un conto corrente in banca. Come pure l’apertura di molti settori dell’economia agli investimenti esteri, l’adozione di una nuova legge sui fallimenti e la digitalizzazione. L’Esecutivo non ha mancato di energia e iniziativa e ha lanciato numerosi programmi per migliorare la vita quotidiana della popolazione. A cominciare dalle condizioni igieniche e sanitarie: durante il primo mandato Modi, le case dotate di un bagno sono passate dal 40 al 95%. I villaggi raggiunti dalla corrente elettrica erano meno del 40%, ora lo sono quasi tutti.
Nella lotta al caro vita, il Governo ha potuto contare sull’incisiva azione della Banca centrale (Rbi), che, sotto la guida di Raghuram Rajan prima e Urjit Patel poi, ha messo le briglie a un’inflazione a due cifre, con picchi nei prodotti alimentari. Una tassa sulla povertà: un’impennata del prezzo delle cipolle poteva scatenare disordini sociali. Ora l’inflazione (core) è sotto al 3 per cento.
L’India contende al Regno Unito il posto di quinta potenza economica al mondo e alla Cina quella di Paese più popolato (1,3 miliardi di abitanti). Ma se Pechino ha problemi di invecchiamento, in India metà degli abitanti ha meno di 25 anni. Con altri cinque anni di mandato, Modi può portare avanti il suo ambizioso progetto. Se a ottobre sfrutterà l’onda lunga del voto e vincerà le elezioni in tre Stati chiave, potrà assicurarsi la maggioranza anche alla Camera alta. Sarebbe il tassello mancante: durante il primo mandato, fu proprio la Camera alta a bloccare molti dei suoi progetti. La Borsa ci crede e viaggia attorno ai massimi.