Il Messaggero, 7 giugno 2019
È ancora utile conoscere il latino?
I cultori della lingua di Cicerone e di sant’Agostino sono avvisati. Da sabato prossimo la Radio Vaticana trasmetterà Hebdomada Papae (la settimana del Papa), un breve notiziario in lingua latina a cadenza settimanale, dedicato all’attività del Santo Padre e della Santa Sede. Al notiziario seguirà una trasmissione di approfondimento dedicata alla lingua latina. Il tutto sotto il controllo linguistico di Waldemar Turek, responsabile della sezione Lettere Latine della Segreteria di Stato pontificia, erede della veneranda Cancelleria Apostolica.
IL MESSAGGIO PIÙ RECENTE
Quella di Monsignor Turek non è una sinecura. Oltretutto, lui e i suoi collaboratori devono già tradurre in latino i messaggi di Papa Francesco su Twitter (https://twitter.com/pontifex_ln). Il tweet (pardon, breviloquium) più recente, postato il 5 giugno, richiama tematiche ecologiche: «Oggi, con gratitudine a Dio, ricordiamo che il nostro corpo contiene gli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora». Ed ecco la versione latina: Hodie, grato erga Deum animo memoramus nostrum corpus elementa continere orbis terrarum, eius aër ille est qui nobis dat respirationem eiusque aua nos vivificat et restaurat. Più macchinosa la versione di un tweet del giugno scorso, quando il Papa aveva rivolto il suo saluto ai giocatori e a quanti seguiranno i Campionati Mondiali di Calcio, che iniziano oggi in Russia (pedilusoribus et omnibus aures mentesque praebentibus attentae Certaminibus Mundialibus Sphaeromachiae, quae hodie in Russia incipiunt). E magari fermiamoci qui, per non irritare troppo i puristi.
Non è, come potrebbe sembrare, un’iniziativa peregrina: il latino (insieme all’italiano) è pur sempre lingua ufficiale dello Stato della Città del Vaticano. Provare per credere: ai bancomat dello IOR si possono effettuare operazioni di deductio ex pecunia. Ma nel nostro Paese confinante, i tweet papali e il notiziario radiofonico fanno notizia, anche perché il latino e la cultura classica tutta sono nel collimatore da alcuni anni. Qualche tempo fa, un paio di economisti hanno ottenuto i proverbiali 15 minuti di celebrità, cercando di demolire con qualche frase ad effetto la pretesa inutilità degli studi classici: meglio l’informatica e la genetica, dicevano. Insomma, fuori la mitologia e dentro i mitocondri. Nel loro desiderio di trasgressione, si sono forse sentiti come Renzo Tramaglino di fronte all’astruso latinorum con cui don Abbondio voleva tenerlo a bada. E del resto, in una società dove professorone è diventato quasi un insulto, atteggiamenti del genere hanno facile gioco.
D’altra parte, anche nella comunità dei classicisti le voci sono discordi, e qualcuno ha proposto di alleggerire il fardello linguistico degli scolari per rendere loro più accessibile l’eredità del mondo antico. Ne ho parlato con Walter Lapini, docente all’Università di Genova e classicista di vaglia (sua è la traduzione dell’Elena di Euripide, attualmente in programma a Siracusa).
INSEGNAMENTO LIGHT
Sotto lo pseudonimo di Alvaro Rissa, evidente omaggio a Ecce Bombo di Nanni Moretti, Lapini si diverte anche a comporre o tradurre testi improbabili, ma linguisticamente impeccabili, in greco antico e latino: per dire, da buon tifoso romanista ha composto un’ode in onore di Francesco Totti, Cochlear Dei Il cucchiaio di Dio. Sostiene Lapini: «Il Santo Padre è figlio di una terra geniale; mentre insigni professori teorizzano la Euripidexit e la Tacitexit e ne fanno la battaglia della vita, lui intanto twitta in latino. Neca vae (traduzione: ammazza ahò). In definitiva, continuare a studiare latino è utile? E se sì, versione hard o versione light? Mi guardo bene dal proporre un’ennesima ricetta destinata ad andare perduta nel tempo, come lacrime nella pioggia». Mi limito a ricordare che Papà Francesco, prima di entrare in Seminario, aveva conseguito un diploma di perito chimico. Per dirla con il maestro Manzi, non è mai troppo tardi per rivalutare il latino.