il Giornale, 6 giugno 2019
Il fisico Guido Tonelli racconta il Big Bang
Il Cern è quel luogo dove oggi, a distanza di 13,8 miliardi di anni, si riproduce, molto molto in miniatura, un Big Bang: grazie agli acceleratori il calore e la densità, seppure in uno spazio piccolissimo, sono quelli dell’universo primordiale; e le particelle che lo popolavano rivivono, per un istante. Così racconta quello che avviene nei laboratori di Ginevra Guido Tonelli, che del Cern è un nome italiano e celebre perché è stato a capo di uno dei due team di fisici che hanno scoperto il bosone di Higgs. Cioè lo hanno fatto «rivivere», appunto, riportandoci a un’epoca, all’incirca, di 10 alla meno undici secondi dopo la nascita del tutto o, almeno, di ciò che per noi è il tutto... Considerato da questa prospettiva, appare meno singolare che un fisico di quelli in grado di «picchiare giù duro» (come una volta lo esortò a fare Sergio Marchionne, appassionato dell’argomento) quanto a fatti scientifici e formule, si sia dedicato a un tema dai toni addirittura biblici: Genesi. Il grande racconto delle origini (Feltrinelli, pagg. 224, euro 17), un libro che, nelle intenzioni di Tonelli, vuole racchiudere le risposte «a tutte quelle domande sull’universo» che spesso la gente gli pone (e magari anche i suoi studenti all’Università di Pisa), per «tenere insieme tutta questa storia, dalla fluttuazione del vuoto all’uomo».
Perché questa esigenza?
«Queste cose, conosciute dagli scienziati, devono essere patrimonio di tutti, perché questa è la visione del mondo della nostra epoca. Un po’ come accadeva nella polis greca, in cui ciascuno conosceva i miti fondativi della comunità e la sua visione del mondo, che ti forma e ti colloca in esso. Oggi questa cosa non c’è, ed è come se ci mancassero le radici».
Perché un titolo biblico?
«Ogni civiltà si costruisce intorno al racconto delle origini; e la Genesi, come mi ha spiegato una volta Padre Cesare Geroldi, è un libro sul futuro, che parla del passato per dare una speranza».
Però poi il suo saggio è assolutamente scientifico.
«Prendo spunto dai sette giorni della creazione per raccontare le sette metamorfosi decisive dell’universo, da 10 alla meno 43 secondi dall’inizio».
All’inizio che cosa c’è?
«Una fluttuazione del vuoto».
Dal nulla? Come grazie a un «tocco» divino?
«Il tocco era più compatibile, forse, con la prima idea del Big Bang, che richiedeva una grandissima energia concentrata in un punto. Non a caso i russi ne diffidavano moltissimo, anche perché a intuirlo fu un prete cattolico, Georges Lemaitre. Ma negli anni ’80 si è scoperto che l’energia totale dell’universo è zero».
Quindi anche oggi...
«Il totale è sempre zero. Un vuoto che si è trasformato. Bellissimo».
Il primo giorno che cosa succede?
«L’inflazione. Un soffio meraviglioso, che trasforma una bollicina impercettibile di schiuma quantistica in un oggetto grande come un pallone, in cui c’è tutta la materia dell’universo».
Che cosa la muove?
«L’inflatone. La particella che ha scatenato il putiferio, e sulla quale cerchiamo dei dati».
Come?
«Al Cern andiamo a caccia delle particelle scalari producendole direttamente; qui a Pisa c’è Virgo che, con Ligo, rileva le onde gravitazionali. C’è un progetto di un grande interferometro sotterraneo, ancora più sensibile, per rilevare le fluttuazioni dello spazio tempo che sono il residuo fossile dell’inflazione, il brusio rimasto dopo 13,8 miliardi di anni».
Poi che cosa succede?
«Si rompe la simmetria: grazie al bosone, le particelle acquisiscono una massa e si differenziano. In pratica, grazie a un difetto. Il cosmo che ci circonda è pieno di caos, e il caos dà origine al cosmo: nell’universo, ordine e disordine vanno a braccetto, come in noi».
Succede spesso?
«Senza una supernova, che è una grande esplosione, o senza la morte delle megastelle non ci sarebbero i sistemi solari e i pianeti rocciosi».
Le stelle quando nascono?
«Al quinto giorno, circa 200-500 milioni di anni dal Big Bang. Prima compare la luce e, prima ancora, i protoni. Le megastelle sono fondamentali: in quell’universo iniziale non c’era nulla di pesante, niente silicio, carbonio, azoto, calcio, ferro, ossigeno. Solo elio e idrogeno. Tutti gli elementi pesanti sono prodotti da quelle prime stelle: quando si distruggono la loro polvere fertilizza l’universo intero».
E poi?
«E poi questi materiali finiscono, impastati, nel cuore delle stelle di seconda generazione, come il Sole. Portano alla formazione dei primi dischi protoplanetari e delle galassie. Il settimo giorno è quello della complessità: l’uomo e il linguaggio».
Perché sugli acceleratori, come Lhc, si gioca il futuro?
«Il XXI secolo è quello della conoscenza e dell’innovazione: intorno alla scienza, anche quella pura, si gioca una sfida di potere».
Chi vince?
«Oggi è l’Europa a guidare questa avventura, ma deve stare attenta: servono visione e investimenti per mantenere il primato».
Investimenti in che cosa?
«A un congresso, a Granada, con seicento scienziati abbiamo proposto di costruire un acceleratore di cento chilometri, e chiesto all’Europa di finanziarlo. Se non lo fa, lo farà qualcun altro».