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 2019  giugno 06 Giovedì calendario

Michael Wolff contro Donald Trump

«Donald Trump è come un disastro ferroviario al rallentatore: la gente non riesceastaccaregliocchi dallo spettacolo. Ma il populismo avràunavitaanchedopodilui?Questaè lagrandedomanda». Michael Wolff fa il bis. Vendette quattro milionidicopiecon Fuocoefuria , il libro costruito dopo essersi infilato nella Casa Bianca «come una mosca sul muro »,eaverer accoltoleconfidenzeditanti insider. A cominciare da quel Steve Bannon che fu l’ispiratore della prima campagna elettorale di Trump nel 2016 e poi lo seguì alla Casa Bianca. Ora è appena uscito il sequel: Assedio (Rizzoli). Una cronaca dall’interno di Trumplandia chesiestendeall’ultimoannodiquesta presidenza, ed è sempre nutrita di una quantità eccezionale di indiscrezioni. Con Bannon ancora in testa all’elenco delle fonti, anche se il primo libro di Wolff gli costò il licenziamento. Mentre seguoilpresidentenelsuoviaggioinEuropa, al telefono dalla sua casa di New YorkWolffmiracconta«ilveroTrump», in questa intervista esclusiva per Repubblica.
I suoi libri sono attaccati non solo dalla Casa Bianca ma anche dai suoi colleghi, inclusa la stampa di sinistra. L’accusano di prendersi troppe libertà con le fonti e la verifica delle notizie.
«Nel caso del primo libro accusarono alcune mie rivelazioni di essere inverosimili, poi si sono avverate. Ma io non scrivo per gli altri giornalisti, per coloro che pensano di sapere già. Scrivo per chi sta fuori dalla cerchia ed è confuso, vuole trovare un senso a ciò che sta accadendo».
È intervenuto il super inquirente Robert Mueller, a smentire ciò che il suo libro gli attribuisce: la volontà di accusare il presidente per ostruzione alla giustizia, nell’ambito dell’indagine sul Russiagate.
«Dall’ufficio del procuratore Mueller è uscita una smentita che non smentisce nulla. Io ho un documento di 56 pagine, redatto con rigore estremo, ed è una bozza d’incriminazione. Dove si parte dal presupposto che il presidente sia stato incriminato, e che dalla Casa Bianca sia partito un ricorso costituzionale, con l’argomento che è impossibile incriminare un presidente nell’esercizio delle sue funzioni. In questo esercizio Mueller si preparava a rintuzzare la difesa della Casa Bianca».
Tutte le sue fonti usate in “Fuoco e furia” continuano a parlarle, Bannon in testa. Perché non si sono negate?
«Anzitutto perché a molti di loro il primo libro è piaciuto e si sono riconosciuti nel mio resoconto delle loro testimonianze. E poi perché la Casa Bianca di Trump è la più incredibile storia del nostro tempo.
Chi ne fa parte non può resistere alla voglia di raccontarla».
La figura di Bannon è centrale come sua fonte. Dopo essere stato cacciato dal ruolo di consigliere del presidente, lui ha cominciato a girare il mondo – soprattutto l’Europa – accreditandosi come una sorta di ambasciatore plenipotenziario, ancora legato a Trump, e impegnato a tessere la trama di un’alleanza tra sovranisti.
Ha tentato di vendere i suoi servizi alla Lega, al Front National e ad altri. Con scarso successo. Ma chi è davvero Steve Bannon?
«So che lui ha quest’ambizione, non so se abbia i mezzi per realizzarla.
Bannon non è un buon organizzatore. In compenso è un ottimo motivatore. È colui che ha la visione più lucida su chi è Trump, e cos’è il mondo attorno a Trump.
Forse Bannon è l’unico faro d’intelligenza che illumina quel mondo».
“Assedio” ripercorre l’ultimo anno di presidenza, mentre su Trump pendeva l’attesa della conclusione del Russiagate. Ma ora che l’indagine è finita, il tema dell’impeachment sembra essersi ribaltato: sta soprattutto dividendo i democratici. L’ala sinistra continua a parlare d’impeachment, la presidente della Camera Nancy Pelosi e i dirigenti tradizionali non ne vogliono sapere.
«È solo una questione tattica. I democratici non sono divisi sulla necessità d’investigare questo presidente, affinché sia chiamato a rispondere di tutte le sue responsabilità, e per chiedergli conto di ogni menzogna. Chi non usa la parola impeachment pensa che non si debba mettere il carro prima dei buoi. Tutti vogliono aprire numerose e serie indagini, e portarle fino in fondo».
Oggi quante probabilità gli dà di farsi rieleggere?
«Io cerco di non fare il guru, ce ne sono già troppi. Bannon dice che Trump oggi è come un cervo ferito.
Altri, suoi amici di lunga data, dicono che potrebbe fingere un problema di salute per ritirarsi prima della prossima campagna elettorale. Per vincere la rielezione lui ha bisogno di un esercito di collaboratori di talento. Invece ha fatto il vuoto intorno a sé. Lo si è visto nella campagne delle legislative di mid-term, novembre 2018, quando ha perso pesantemente alla Camera perché non ha mai avuto una strategia. Si accontentava di dare spettacolo negli stadi pieni».
L’economia va bene, la Cina è con le spalle al muro, il Messico ricaccia indietro i migranti. Ci sono tante ragioni per rieleggerlo, no? E poi nel mondo di oggi Trump è sempre meno isolato. L’Europa che lo accoglie nel giugno 2019 assomiglia di più a lui, no?
«C’è una narrazione per cui è l’Uomo Forte che divide le acque del Mar Rosso, e ha dietro di sé i repubblicani compatti. La mia è una contro-narrazione, descrivo un lento tracollo, una Casa Bianca dove sono state bruciate due ondate di consiglieri, ormai sono rimaste solo mezze figure, sicofanti il cui compito è assecondare i suoi capricci. In quanto a lui, ha come unico obiettivo quello di farla franca. Sia chiaro: il nuovo populismo è reale, è una corrente poderosa. Trump ne ha beneficiato, è parte di questo fenomeno; al tempo stesso questo riccastro è un’anomalia. Chi ha visione strategica, cioè Bannon, si sta ponendo il problema di prolungare il populismo oltre Trump».