ItaliaOggi, 6 giugno 2019
Troppe balle sull’aborto negli Usa
Per millenni l’uomo ha creduto che la vita viene da Dio. Ecco perché, in tutte le religioni dell’umanità, la vita è sacra. L’aborto, che la sopprime sul nascere, è un peccato imperdonabile. Che va pagato anche con la vita. Certo, gli aborti avvenivano, ma i colpevoli, se scoperti, finivano anche sul patibolo. La nostra civiltà occidentale cristiana ha sempre proibito l’aborto. Anche nei secoli della civiltà borghese, quando il liberalismo cominciava a mettere in difficoltà la morale sociale della tradizione religiosa. Sino all’Ottocento.Per arrivare alla legalizzazione dell’aborto era necessaria una perdita dei riferimenti religiosi nella coscienza delle masse, cosa che accadde dopo la prima Guerra Mondiale; e, ancor più, l’immissione delle donne nelle attività lavorative, che ha prodotto un conflitto tra la vocazione materna della donna e i suoi impegni fuori casa. I primi paesi a legalizzare l’aborto furono l’Unione Sovietica (1919), l’Irlanda (1935) e la Svezia (1938). È poi stato liberalizzato in tutti i paesi, a partire da quelli evoluti e industrializzati, dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Tutti gli Stati della Federazione americana, conformemente alla loro struttura federale, hanno tipi diversi di aborti, anche perché non c’è una legge nazionale che valga per tutti. Il documento più autorevole è una sentenza della Corte Suprema, del 1973 (Roe v. Wade). Vi sono dunque stati più «liberal» e altri meno. Il tema dell’aborto è uno dei cavalli di battaglia dei cittadini americani e delle loro associazioni. I progetti diversi si esprimono tra due «ideologie» estreme: quella dell’aborto libero come conquista della libertà della donna (pro-choice) e quella della difesa della vita (pro-life), che vorrebbe proibirlo o, almeno, limitarlo al massimo possibile.
La elezione di Trump alla Presidenza ha accentuato le discussioni tra pro e contro. Trump, come è noto, è contrario all’aborto. E per giunta ha nominato due dei nove giudici federali tra giuristi di destra, in modo da formare una maggioranza contro il progressismo. Ecco perché sono almeno 28 gli stati (prevalentemente del sud e a governo repubblicano) che hanno discusso e chiesto la «limitazione» dei tempi dell’aborto. Il presidente Trump ha bloccato la concessione statale di fondi per l’aborto, sostenendo che esso non rientra nella assistenza sanitaria. Molto penalizzata la «Planned Parenthood» (Genitorialità pianificata), che gestisce aborti in tutti gli stati. Trump ha tolto a questa associazione 60 milioni di contributi statali.
La cultura prevalente nei media ha parlato di illegalità e di offesa alla donna. E contro la limitazione dell’aborto sono intervenute non solo, come sempre, attrici e pornostar, ma anche potenti imprese economiche. In Georgia, la Disney ha minacciato di non girare più film, se la legge limitativa entrerà in vigore. E la società di distribuzione di film via internet, la Netflix, ha fatto sapere che molte sue produzioni saranno spostate dalla Georgia in altri stati più abortisti. Il fronte abortista demonizza queste limitazioni con l’affermazione che «vogliono togliere l’aborto».
Ma si tratta di una evidente fake news, in quanto nessuno dei 28 stati (come Georgia, Iowa, Kentucky, Mississipi, Alabama, Missouri, Ohio) ha chiesto la cancellazione dell’aborto. Tutti lo ammettono per rischio della donna e per malformazione del feto. Ciò che essi vogliono è la fissazione di una data, non superiore alle sei settimane, oltre le quale la pratica dell’aborto è un reato. Essi chiamano tale data (heartbeat bill), ossia il momento in cui si può sentire il «battito cardiaco del feto».
Ogni legge sull’aborto proposta da uno stato deve essere esaminata dalla Corte Suprema. L’altro giorno il grande scandalo: lo Stato della Louisiana si è schierato con quelli che chiedono la riduzione del tempo massimo a sei settimane. Siamo al sud, certo, ma il governatore, John Bel Edwards, è un democratico. «Ha tradito il partito» hanno sentenziato le penne abortiste. Come se una pratica così rilevante come l’aborto dovesse essere decisa dai partiti e non dalla coscienza dei singoli.
Come un po’ dovunque, compresa l’Italia, gli aborti sono diminuiti anche negli Usa: dal 2006 al 2015 c’è stato un calo del 26 %. Dovuto soprattutto alla larga diffusione dei contraccettivi (pillole dei giorni dopo). In particolare gli antiabortisti si oppongono agli aborti tardivi (lateterm abortion). Alcuni stati ammettono l’aborto dopo le 21 settimane e altri, come quello di New York, lo consentono sino al parto.
Di una società come la nostra, che è dell’avere più che dell’essere, dello scambio più che del dono, del calcolo più che dell’offerta, l’aborto è una conseguenza inevitabile, tanto è vero che ormai è in tutte le nazioni della terra. È almeno un fatto positivo che vi siano gruppi e istituzioni che, pur sapendo che per molto tempo nessuno lo cancellerà, si adoperano almeno per renderlo meno disumano.