Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  giugno 06 Giovedì calendario

Intervista allo stilista Jean-Paul Gaultier

Tutti al grande party di Jean-Paul Gaultier, per farci sorprendere ancora. Con i suoi toni esuberanti e stravaganti, lo stilista che giovanissimo bussò alla porta di Pierre Cardin ci invita dietro le quinte della sua creatività poetica, sopra le righe, coloratissima. È autore, regista e set designer di uno show che racconta la sua vita tutta ago e filo. Attori, ballerini e circensi, in 39 tra uomini e donne, hanno risposto alla sua chiamata, mostrandosi spesso nudi.
Eccentrico, scandaloso, provocatorio, l’ex enfant terrible dell’alta moda alle Folies Bergère ha scosso Parigi inventando una nuova forma di divertimento a metà strada fra la rivista e la sfilata di moda, giocando (con i suoi famosi corsetti) sulla ruota della sensualità. Lo spettacolo si intitola The Fashion Freak Show e debutterà il 5 luglio al Festival di Spoleto.
C’è una narrazione nel suo spettacolo?
«Dovete immaginare un piccolo ragazzo della periferia di Parigi, che è figlio unico, piuttosto in disparte e rifiutato a scuola, che non ama il calcio e sogna le paillettes, le piume, le showgirl… Un giorno la maestra mi diede delle bacchettate sulle dita perché scoprì un disegno che per lei non avrei dovuto fare, me lo spillò sulla schiena e dovetti fare il giro della scuola. Aiutò a trovare me stesso».
È il suo autoritratto?
«Sì. Volevo fare la rivista e vestire di piume l’orsetto di peluche della mia infanzia, ma volevo allo stesso tempo raccontare storie. E quale storia conosco meglio? La mia. Così The Fashion Freak Show è la storia della mia vita attraverso canzoni e balletti. Ho messo in scena la felicità dei bei tempi ma anche la perdita e la sofferenza; ho provato a mostrare che la bellezza può assumere varie forme, che la bellezza è differenza e che la differenza è la bellezza. Per questa occasione, ho disegnato decine di abiti nuovi che fanno parte della scenografia, senza dimenticare le mie creazioni più rinomate».
Chi l’ha ispirata?
«La gente. Però devo a mia nonna quello che sono. Credette in me, mi incoraggiò, il suo guardaroba fu l’origine di tante meraviglie, vidi il primo corsetto in quei cassetti. Guardavamo insieme alla tv, piangendo alla fine, i film di Jacques Becker come Falbalas che mi spinse a diventare un couturier».
Il mondo dell’alta moda, secondo lei, si prende troppo sul serio?
«Ogni tanto mi capita di seguire in tv interviste a stilisti che rispondono: ho inventato la donna fiore. Ma cosa significa? Seriosità o meno, la moda è una grande industria dove si lavora duramente. Era il mio sogno e la mia passione e il fatto che io viva i miei sogni mi rende felice. Tutto verte su chi siamo, mettendo a nudo la nostra personalità. A me non piacciono i manichini, preferisco donne con una forte personalità».
Cosa significa, per lei, la parola provocazione?
«Non ho mai fatto nulla per provocare, non è il mio obiettivo, al contrario di quanto alcuni pensano. Ho solo mostrato cose che mi sembravano in linea con i tempi, come le gonne per gli uomini e i corsetti per le donne».
E oggi?
«Oggi con i social media sta diventando difficile capire cosa si fa con sincerità e cosa si fa per aumentare i propri follower».
Madonna è stata la sua musa.
«E nello show, dove c’è la mia playlist di funky, pop e rock pago tributo anche ad altri che mi hanno influenzato: Almodóvar, Besson, Kylie Minogue... Qualcuno mi ha detto: se pensi a qualcosa, stai sicuro che Madonna l’ha già fatta. È quello che l’ha resa rivoluzionaria, il fatto che lei è sempre stata pronta a interrogarsi e a sfidare se stessa. Madonna è il più grande macho che abbia mai incontrato».
Come immagina il futuro dell’alta moda?
«La sua morte è stata annunciata dal 1960. Ricordate il film Who Are You, Polly Maggoo? Lo girò nel 1966 William Klein, una storia d’amore ambientata in una sartoria con i suoi eccessi. Siamo ancora tutti qui».