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 2019  giugno 06 Giovedì calendario

Per evitare la procedura servono 10 miliardi

Venti giorni di tempo per trattare con Bruxelles. Un buco da colmare che al momento è quantificato in 10 miliardi di euro, da trovare subito. Più altri 20-30 miliardi da mettere in conto nella manovra d’autunno. La fiducia degli altri governi europei tutta da conquistare. L’Italia ha davanti a sé un giugno di fuoco che metterà a dura prova la tenuta del governo. Nel caso in cui la trattativa fallisse, la Commissione potrebbe alzare definitivamente il cartellino rosso già il 26 giugno. E a quel punto il 9 luglio l’Italia diventerebbe il primo Paese a finire formalmente sotto procedura per debito. Costretta a rispettare rigide manovre correttive per un lungo periodo, tra i cinque e i dieci anni. 

Il vertice in Giappone
«La mia porta è aperta» scandisce Pierre Moscovici al termine della riunione dei commissari. Lascia intendere che ci sono ancora margini per evitare l’attivazione della procedura. Già nel week-end ci sarà il primo faccia a faccia con Giovanni Tria: i due si vedranno in Giappone, al G20 dei ministri delle Finanze di Fukuoka.
Possibile anche un incontro con il tedesco Olaf Scholz, che ieri ha invitato le parti al dialogo. La settimana successiva, il 13-14 giugno, la partita si sposterà a Lussemburgo, dove Tria vedrà gli altri suoi colleghi all’Eurogruppo e all’Ecofin. 

Misure concrete
Palazzo Chigi dice di volere un accordo e per questo «auspica un dialogo costruttivo». Ma respinge l’idea di una manovra-bis. Secondo il premier Giuseppe Conte, «sta emergendo una sorta di auto-correzione naturale» dei conti. Oltre alle argomentazioni già presentate nella lettera di venerdì scorso, Roma sostiene di poter ridurre ulteriormente il deficit grazie a un tesoretto di 1,2 miliardi di euro (lo 0,07% del Pil), dovuto a minori spese.
Bruxelles e le altre capitali, però, vogliono misure concrete da approvare entro l’estate. E un passo indietro sulla riforma delle pensioni, bocciata su tutta la linea. Come detto, secondo l’applicazione rigida dei parametri Ue, tra il 2018 e il 2019 c’è un buco di 10 miliardi (0,55% del Pil). Se ci fosse un via libera dei governi, Bruxelles potrebbe far quadrare i conti anche con un intervento di soli 4-5 miliardi. Gli escamotage contabili ci sono, ma serve la volontà politica. 

La linea dura
La posizione della Commissione oggi è molto più rigida rispetto al 21 novembre scorso. Anche all’epoca l’esecutivo Ue aveva concluso il proprio rapporto definendo “giustificata” la procedura (salvo poi stracciare la pratica il 19 dicembre in seguito alla retromarcia del governo).
Ma in autunno erano emerse maggiori resistenze all’interno della Commissione. Ieri mattina, invece, il report è stato adottato all’unanimità senza alcuna obiezione. Le ragioni di questo irrigidimento sono molteplici.
La prima grande differenza è che ora le elezioni europee sono alle spalle. A fine 2018 aleggiava il timore dell’ondata sovranista nelle urne, per questo – alla fine - Bruxelles aveva scelto di sotterrare l’ascia di guerra. Inoltre le proteste dei Gilet Gialli avevano costretto Emmanuel Macron a nuove spese in deficit, il che aveva ammorbidito la posizione di Parigi (e di Bruxelles) nei confronti dell’Italia. C’è infine una questione di eredità: Jean-Claude Juncker non vuole uscire di scena con l’accusa di aver snaturato le regole Ue sui conti pubblici, come contestano i governi nordici che proprio per questo motivo stanno bloccando la riforma dell’Eurozona.

Le tappe
Ora il prossimo passaggio è atteso nel giro di 15 giorni: il Comitato economico-finanziario (composto dai governi Ue) dovrà dare la sua opinione sul rapporto sul debito. Probabilmente il parere arriverà già la prossima settimana.
Dopodiché la Commissione deciderà se proporre l’apertura della procedura: lo farà nella seduta del 26 giugno, ma non è escluso uno slittamento a quella del 2 luglio. L’Ecofin deve esprimersi al più tardi entro il 1° agosto, anche se l’ultima riunione utile è quella del 9 luglio. Oltre non si può andare.