il Giornale, 5 giugno 2019
Stefania Auci: «Così racconto l’epopea dei Florio, imprenditori del Sud cresciuti dal nulla»
Stefania Auci, scrittrice, è nata a Trapani.
In queste settimana un libro è arrivato, a sorpresa, ai piani alti delle classifiche di vendita. Lo ha scritto Stefania Auci, trapanese d’origine e palermitana d’adozione, e si intitola I leoni di Sicilia (Nord, pagg. 438, euro 18). Sottotitolo del volume? La saga dei Florio, e in effetti il romanzo racconta la prima parte dell’ascesa della potente famiglia di origine calabrese che diventerà la punta di diamante dell’imprenditoria siciliana. La seconda parte dell’epopea familiare è in lavorazione, scrivere la prima alla Auci è costato tre anni di impegno. Ma il risultato in libreria è davvero straordinario. Era un bel po’ che non si vedeva una saga famigliare basata sulla storia vendere così tanto. Ne abbiamo parlato con l’autrice.
Stefania Auci che effetto fa vedersi catapultare ai vertici delle classifiche di vendita, aver scritto il romanzo italiano più venduto del momento?
«Sono contentissima, non lo posso negare. Sono contenta anche per la casa editrice che su di me ha investito tantissimo. Io scrivo da molto, è dieci anni che lo faccio, e questo romanzo mi è costato un lavoro molto lungo, tanta ricerca e quindi sì, la soddisfazione è grande, c’è una forchetta che separa quello che va bene e quello che va benissimo. Qui siamo al benissimo».
Perché pensa che il romanzo abbia funzionato così bene?
«Ci sono persone espertissime del mercato editoriale che potrebbero dare risposte migliori delle mie. Personalmente mi sento di dire solo questo. Credo abbia pagato l’idea di fare un romanzo classico – il mio modello sono i romanzi classici inglesi – senza salti temporali, senza partenze in medias res, senza troppi fili narrativi intrecciati. La fiera delle vanità di William Thackeray per me resta un punto di riferimento. Per il resto ho cercato soprattutto di dare ad ognuno dei personaggi un’emotività precisa, una voce».
Il romanzo storico pone dei vincoli precisi però. Non si è sentita un po’ ingabbiata?
«Alla base è necessario un lavoro enorme, in tre anni ho letto saggi di tutti i tipi, ho dovuto fare un numero enorme di approfondimenti per ricostruire il costume, le mentalità, alla fine ho messo assieme una libreria di testi sul tema, non esagero. Però ingabbiata no, anzi è uno stimolo creativo. Poi c’è una cosa che non mi stancherò mai di dire, se serve la ripeto anche saltando su un piede solo... Dati e fatti non si toccano ma l’emotività dei personaggi, i dialoghi, quello è tutto solo e soltanto romanzo, l’emotività dei personaggi è tutta romanzo».
Parlando dei personaggi: i Florio per certi versi sono all’opposto dei personaggi del Gattopardo. Quella di Tomasi di Lampedusa era una storia di decadenza, la sua è una storia di imprenditorialità meridionale...
«I Florio incarnano bene il mito del riscatto attraverso il lavoro. La loro epopea è fatta di spirito imprenditoriale, di voglia di riscatto. Da questo punto di vista mi ha influenzato la Lehman Trilogy di Stefano Massini. Anche nel loro caso, ma di questo mi occupo nel secondo ed ultimo volume, alla fine ci fu un crollo. A mettere in crisi la famiglia fu l’incapacità di passare da una politica conservativa dell’esistente ad una politica di innovazione. Poi anche il cambiamento del panorama internazionale dopo la Prima guerra mondiale. I Florio erano abilissimi a intessere rapporti con il mondo nobiliare, le case regnanti. Stavano già lentamente scivolando verso il basso, ma la Grande guerra spazzò via tutto il loro mondo. Certo anche nella loro caduta, e questa è una cosa peculiare, ci fu grande eleganza. L’eleganza misurata è stato uno dei tratti salienti della famiglia».
Il personaggio più importante, ovvero Vincenzo Florio (1799-1868) dimostra subito una aspirazione ad essere un po’ inglese...
«Mi fa piacere che l’abbia colto. Sì, lui era il perfetto connubio tra l’aspirazione imprenditoriale e una profonda aspirazione al bello, al misurato. Fu davvero un uomo innovativo e capace di far svoltare la famiglia. Alcune delle sue idee come quella del tonno sottolio, che avevano sperimentato in Francia ma non in modo veramente industriale, hanno fatto la storia imprenditoriale della Sicilia».
È il personaggio a cui tiene di più?
«Vincenzo è un pezzo di cuore, e nel romanzo ci sono dei personaggi femminili di grande forza che amo. Ma il mio personaggio preferito è suo zio Ignazio. Davvero fu un uomo capace di una serenità infaticabile in alcuni dei momenti della prima ascesa dei Florio, il passaggio da immigrati con una piccola bottega a commercianti rispettati. Un uomo capace di amare in modo gratuito».
Sa che qualcuno dice che è la nuova Ferrante?
«Sa cosa faccio? Mi tocco la tetta sinistra, un gesto scaramantico che mi ha insegnato una mia amica, come quando voi maschietti vi toccate... insomma ci siam capiti. Beh rispondendo seriamente: la Ferrante è grandissima, io faccio un passo indietro e sto al mio posto».