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 2019  giugno 05 Mercoledì calendario

Periscopio

Basta e avanza un tonto al mese. Dino Basili. Uffa News.I sindacati sono fatti per dare ragione a delle gente che ha torto. Coluche, Pensé es et anecdotes. Le livre de Poche, 1995.
Le idee di Salvini sono allo stesso livello dei dialoghi di uno spaghetti western. Ma almeno lui è autentico. Beppe Grillo, comico (Pasquale Elia). 7.
Ho conosciuto dei serbi, croati, tedeschi, georgiani, solamente buoni; almeno con me sono stati miti e miei amici. Geminello Alvi, Ai padri perdòno. Mondadori, 2003.
Angelino Alfano mostrò i muscoli, compresi quelli addominali, magistralmente ed eloquentemente documentati da un fotoreporter rampante di Chi, che è la Civiltà cattolica, dei divi dello spettacolo. Roberto Gervaso, Come stanno le cose. Mondadori, 2017.
Più che un ufficio è un bunker, vigilato attentamente dalla sua principale collaboratrice, Renata Pavlov. Ma chi ha ottenuto il lasciapassare dalla signora ed è riuscito ad entrare nella stanza del ministro dell’Economia, Giovanni Tria, racconta impressionato sempre la stessa cosa: il professore capitato chissà come a manovrare il timone più delicato del governo gialloverde è seduto sulla poltrona con gli occhi fissi a un grande monitor. Lì scorre il diagramma sull’andamento minuto per minuto dello spread fra Btp italiani e Bund tedeschi. Per Tria è una sorta di ossessione ne ha un fifa pazzesca, perfino irrazionale. Franco Bechis. Il Tempo.
Da Romolo e Remo, la Capitale nutre una diffidenza congenita verso gli invasori ma sa come trattarli: si fa conquistare, salvo poi inglobarli, convertirli, conquistandoli a sua volta. Esiste una Roma nella Roma, una Rai nella Rai, che ha visto passare tutto e tutti e a cui ora leggi negli occhi: «E vabbè, mo’ ce tocca er sovranista». Ai tempi di questa storia, la variante era: «E vabbè, mo’ ce tocca er renziano». Carlo Verdelli, Roma non perdona. Feltrinelli.
Gabetti fermò Morchio che voleva prendersi tutto e suggerì di affidare la Fiat a Marchionne, già chiamato in consiglio da Umberto Agnelli. Fu sempre vicino a John Elkann. A differenza degli amministratori delegati, che prima o poi entravano in contrasto con la famiglia, Gabetti ripeteva: «Siamo dipendenti; dobbiamo dare tutto; ma poi la proprietà ha un’area che deve restare di sua prerogativa». Lui ad esempio tentò di convincere Agnelli a non comprare il Corriere: «La Rizzoli ci darà solo grane...». Un giorno l’Avvocato lo pregò di scendere in cortile. Parlarono a lungo, passeggiando. Poi Agnelli salì in macchina, al posto di guida, mise in moto, e prima di sgommare via abbassò il finestrino e disse: «Gabetti, il Corriere poi l’abbiamo preso». Aldo Cazzullo. Corsera.
Un esercito europeo ci costerebbe meno e ci aiuterebbe a diventare europei, anche in questo campo: la disciplina militare aiuta a superare i nazionalismi. Il principio è di non far prevalere mai un paese sugli altri e dovrebbe essere nominato anche un ministro della Difesa europeo. Fabio Mini, già generale di corpo d’armata (Aldo Forbice). LaVerità.
Per me le giornate che trascorro qui a Piacenza con gli allievi della orchestra Cherubini costituiscono ogni volta un’occasione di arricchimento. Perché ai giovani si insegna e dai giovani si impara. Ho avuto e ho sempre gratitudine per Piacenza che diede ospitalità all’Orchestra Cherubini per scelta di coloro che all’epoca avevano la responsabilità della guida politica della città. Sono grato all’allora sindaco Reggi e a Giovanna Calciati che allora era assessore. Capirono l’importanza di far ristrutturare la Sala dei Teatini, un’assoluta meraviglia di architettura e di acustica. Poi c’è stato il collegamento con Ravenna ed ecco un ponte dall’Emilia alla Romagna che aiuta a formare i giovani artisticamente e, parola altrettanto importante, eticamente (Muti sillaba l’avverbio: e-ti-ca-men-te, ndr) i futuri professionisti del mondo musicale. Riccardo Muti (Pietro Visconti). La Libertà.
Da ragazzino ho sostituito mio fratello Gianfranco che suonava in un gruppo molto conosciuto all’epoca, I menestrelli del jazz. La formazione si esibiva alla Triennale di Milano, dove c’era una sala da ballo, punto di ritrovo della «Milano bene» e delle modelle. Ero molto corteggiato, purtroppo pure timido. Ahimé, non ne ho approfittato. Enrico Intra, jazzista milanese (Luca Pavanel). Il Giornale.
A Firenze, alle Giubbe Rosse o da Piatkowski non trovi gli eredi dei grandi intellettuali e artisti che resero famosi questi locali, né gli americani colti (che, quando sono colti, lo sono altissimo livello), ma un turismo cheap. Idem al Florian di Venezia dove il fantasma di Oscar Wilde sembra guardare, un po’ disgustato, gli avventori. Ma nemmeno Roma se la cava tanto bene da questo punto di vista. Via Veneto non esiste più il mitico Cafe’ de Paris, dove si trovavano Fellini, Flaiano, Sergio Amadei e tutto quel giro lì, qualche anno fa è stato chiuso per un certo periodo di tempo perchè infestato dai topi. Massimo Fini, Una vita. Marsilio, 2015.
Sebbene la casa editrice Laterza (che è l’Einaudi del Sud) sia nata in Puglia e qui sia vissuta anche la De Donato, Bari non è una città intellettuale. È qualcosa di meno e di meglio, è una città commerciale, e usa la cultura (in piccolo si intende) come la usa Milano: per gli scambi, per gli affari e per una modesta ma cocciuta volontà di potenza. Saverio Vertone, Viaggi in Italia. Rizzoli, 1988.
Se di professione Konstantin Konstantinovic prestava denaro a usura, la sua arte consisteva nell’osservare un oggetto per un minuto, tenerlo in mano per un momento ed essere poi in grado di stabilirne il valore esatto. Amor Towles, Un gentiluomo a Mosca. Neri Pozza, 2017.
Al caffè Torino passava di tavolo in tavolo l’ironico calembour del momento: «Perdiamo la Grecia, ma ai generali basta conservare la greca». Luigi Preti, Giovinezza, Giovinezza. Mondadori, 1964.
Una caratteristica della Bassa è che tutto passi in fretta e nulla, o quasi, lasci un segno di sé: la memoria non incide solchi, al contrario di quanto accade nelle valli alpine, dove il ricordo o la leggenda di un fatto possono conservarsi da un millennio all’altro. Sebastiano Vassalli, La Chimera. Rizzoli, 2014.
I russi non sono dei sadici: loro ci lasciano morire di fame e di stenti più che altro per non dare agli altri russi l’impressione d’essere favorevoli al nemico. E poi c’è il fatto che anche la loro vita è talmente schifosa che non ne fanno alcun conto. Figurati che conto possono fare della nostra. Eugenio Corti, Il cavallo rosso. Edizioni Ares, 1983, 32ma edizione.
Dopo i corvi, vengono le aquile I caporali devono restare caporali. Roberto Gervaso. Il Messaggero.