Libero, 5 giugno 2019
La principessa che fece impazzire Marcel Proust
mperdibile per gli amanti della Recherche, Il visitatore della sera. Lettere a Paul Morand e a Madame Soutzo, a cura di Massimo Carloni (Biblioteca Aragno, pgg.335, 25 euro) ricostruisce il rapporto, epistolare e amicale, fra Marcel Proust, Paul Morand, diplomatico e scrittore, e Madame Soutzo, una delle aristocratiche che costituirono il modello di Proust per le sue figure femminili. Fu Morand a far conoscere a Marcel la nobildonna: tra i due è subito attrazione fatale, come dimostrano le lettere che si scrivono. Soutzo è una delle regine di Parigi, con Anna de Noailles, contessa e poetessa, e con la sua rivale Marthe Bibesco. Hélène nasce nel 1879 nella Moldavia romena, dove i genitori avevano costruito un impero bancario. La giovane cresce e si forma a Parigi, arrivando a parlare sette lingue. Sposando nel 1903 il principe Dimitri Soutzo, acquisisce un titolo che le garantisce un ruolo mondano di primo piano; il matrimonio, tuttavia, sarà presto seguito dalla separazione e dal divorzio nel 1923. Con lo scoppio della Grande Guerra e la penuria di personale, Hélène deve abbandonare il suo sontuoso palazzo ai piedi della Torre Eiffel per una “modesta” (!) sistemazione al Ritz. Qui avverranno gli incontri serali con Proust, anticipati e seguiti da un oceano di lettere, che si susseguono, si accavallano, si inseguono, trattando piccole e grandi incombenze quotidiane: una operazione di appendicite cui Hélène deve sottoporsi, una frase di cui deve suggerire la forma più opportuna a Marcel. Ogni tanto, poi, compare Céleste, la mitica governante di Proust, di cui, eccezionalmente, leggiamo una missiva (lettera del 16/11/1917). Proust era fatalmente attratto da Soutzo sia per la sua intelligenza vivace sia per la grazia raffinata. Ma frequentare i suoi salotti significava per lui carpire una serie di informazioni e dettagli che gli servivano per la su Recherche.
LA GUERRA
Nelle lettere i due non parlano solo delle minute incombenze della vita quotidiana, che non sono frivolezze, ma, proprio Proust ce lo insegna, la trama della nostra esistenza: c’è anche la guerra; ed è impossibile dimenticarla, come scrive Marcel quando il massacro sembra ancora infinito (6 aprile 2018): «Non vi parlo della guerra. L’ho assimilata così totalmente, purtroppo, da non riuscire a isolarla, non posso piu parlare delle speranze e dei timori che essa m’ispira, cosi come non si può parlare di sentimenti che si provano a un livello tale livello di profondità da non distinguerli piu da se stessi. Più che un oggetto per me rappresenta una sostanza interposta tra me e gli oggetti. Come si amava in Dio, così io vivo nella guerra». Il volume varrebbe la lettura anche solo per il ricordo di Paul Morand, che apre il libro raccontando La prima visita di Proust: il testo era già stato tradotto in italiano, ma solo in parte, da Giuseppe Scaraffia, in appendice alla sua biografia proustiana (Edizioni Studio Tesi 1986).
LA DESCRIZIONE
Ecco dunque come appare Proust a Paul Morand che se lo trova di fronte per la prima volta: «Un uomo pallidissimo, imbacuccato in una vecchia pelliccia, nonostante la notte fosse tiepida; folti capelli neri divisi sulla nuca, secondo la moda del 1905, sollevavano da dietro la sua bombetta grigia; la mano, guantata in capretto glacé color ardesia, teneva un bastone; le sue guance d’avorio opaco si adombravano verso il basso d’un blu sfumato». Quel che più colpisce Morand, abituato a valutare con sagacia i suoi incontri, non è tanto l’insolito abbigliamento, e, soprattutto, il particolare della pelliccia (leggendaria era la freddolosità di Proust), ma la voce del visitatore, «cerimoniosa, tremula e artificialmente acuita», e, soprattutto, il modo di parlare di Marcel, affascinante, magnetico, unico, in cui mescolano soavità e autorevolezza, in cui Morand riconosce lo stile del romanzo, Dalla parte di Swann che l’ha conquistato: «La frase era solo all’inizio; sarebbe finita non prima della mezzanotte. Quella frase melodica, arguta, cavillosa, rispondente a obiezioni a cui non si pensava affatto, sollevando difficoltà impreviste, sottile nei suoi scatti e nei suoi sofismi, strabiliante nelle sue parentesi che la sostenevano in aria come dei palloni, vertiginosa nella sua lunghezza vi avviluppava in una rete d’incidentali così intricata che ci si sarebbe lasciati inghiottire volentieri». Chiudono il volume lo scritto proustiano Per un amico, osservazioni sullo stile, ma soprattutto, l’Ode a Marcel Proust di Paul Morand, che coglie l’essenza della Recherche: «Quali spaventi a noi preclusi avete conosciuto/ per tornare così indulgente e così buono?/ edotto dei tormenti delle anime/ e di quel che avviene nelle case,/e dell’amore che fa tanto male».