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 2019  giugno 05 Mercoledì calendario

Il lungo addio di Ilda Boccassini

Il lungo addio di Ilda Boccassini comincia in sordina, lunedì scorso. Lei non è in ufficio, non lo è neanche ieri. Chiusa la porta della piccola stanza numero 31 che non ha voluto lasciare neanche all’apice della sua carriera, quando i suoi colleghi si contendevano le suite presidenziali della Procura. Vuote le sedie che nel corridoio del quarto piano ospitano i ragazzi della sua scorta, quelli che ogni giorno – anche in futuro, e chissà per quanti anni – vigileranno sulla sua quotidianità di vittima designata. Intorno, la Procura della Repubblica continua la sua vita, tra la routine dei tempi morti e le improvvise fiammate dei blitz contro il mafioso o il politico di turno.
Nella Procura di cui, comunque si guardi la storia, è stata per quasi trent’anni una protagonista, oggi Ilda è un’ospite ingombrante. Lo è dall’ottobre 2017, quando per una norma giusta in teoria ma dannosa nei fatti ha dovuto lasciare la carica di procuratore aggiunto, alla scadenza degli otto anni di carica. Aveva provato a fare il salto finale, puntando alla poltrona più alta, quando venne lasciata libera da Edmondo Bruti Liberati. Non prese neppure un voto: colpa del suo carattere, o dei giochi di corrente che in questi giorni su altre nomine importanti stanno venendo drammaticamente alla luce.
Andrà in pensione il 7 dicembre, quando compirà i settant’anni. Per non costringerla alla corvè dei processi qualunque e dei turni di guardia, il nuovo procuratore Francesco Greco le assegnò il compito di mandare avanti il pool più delicato della Procura, quello sull’intreccio tra criminalità economica e politica corrotta, rimasto senza capo per la malattia poi letale di Giulia Perrotti. Ma da lunedì scorso ha preso servizio in Procura Maurizio Romanelli, tornato a Milano come procuratore aggiunto al termine di una battaglia tra Csm, Tar, Consiglio di Stato. Anche se si dovrà passare per una sorta di concorso interno, Romanelli è il candidato ovvio alla guida del pool. E alla Boccassini toccherà farsi definitivamente da parte.
Solo lei sa come intende passare i sei mesi che mancano all’addio alla toga. Potrà smaltire ferie, potrà – se vorrà – chiedere il pensionamento anticipato. Oppure potrà scegliere di restare lì, nella stanzetta, a sbrigare qualche fascicolo. La sua porta è sempre aperta. Sulla sua scrivania non c’è – unico caso in tutta la Procura – né un computer né un monitor. Così l’immagine che appare, a chi si trova a passare in corridoio, è quella di una donna sola, affondata nelle sue riflessioni e nel suo passato.
Nei quindici mesi in cui ha guidato il pool anticorruzione non si può dire che abbia portato a segno colpi memorabili. L’ultima retata sul fronte delle tangenti, quella che ha investito buona parte di Forza Italia in Lombardia, è stata realizzata da un’altra squadra, il pool antimafia: nella conferenza stampa, Greco le ha offerto un tributo doveroso, perché l’indagine l’aveva avviata lei. Ma ormai il pallino dell’inchiesta è in altre mani, e la processione delle confessioni scivola via, senza fermarsi alla stanza 31.
È stata la prima a incriminare un sindaco di Milano, è stata la prima a incriminare un presidente del Consiglio in carica. Sul suo furore investigativo molto si è scritto, ma nessuno ne ha mai messo in dubbio la potenza micidiale nelle indagini preliminari; né l’intuito investigativo, che le permise di capire da subito che il pentito Scarantino, idolatrato dalla Procura di Palermo, era un bugiardo. A mancarle, e anche questo è giudizio diffuso, è stata la finezza dell’analisi giuridica, quando dalla fase dei pedinamenti e delle intercettazioni bisognava passare a quella dei processi. E lì le mancò l’umiltà di farsi istradare, di individuare i tasselli che ballavano nell’impianto accusatorio prima che il processo andasse a schiantarsi, come nel caso Ruby. Anche questo ha contribuito il suo isolamento. Ma sarebbe ingiusto non ricordare che ha pagato anche la sua estraneità a logiche di corrente di cui ora appare il lato marcio.
Cantava Jovanotti: «Un vecchio di quelli che nessuno vuole avere intorno, perché han visto tutto e fatto tutto, e non sopportan quelli che adesso è il loro turno»: saranno lunghi, i sei mesi dell’addio di Ilda.