Il Sole 24 Ore, 5 giugno 2019
Il clima mette a rischio utili per mille miliardi di dollari
Il cambiamento climatico rischia di costare quasi mille miliardi di dollari alle imprese, di cui più della metà nei prossimi cinque anni. E si tratta di una stima per difetto, poiché è frutto delle valutazioni di appena 215 Blue Chips: le sole che abbiano voluto elaborare (e svelare) una previsione tra le 500 società a maggiore capitalizzazione nel mondo.
Lo stesso gruppo di società – che comprende colossi bancari e hi-tech, compagnie petrolifere e l Food & beverage – nel suo insieme non è comunque pessimista come potrebbe sembrare. Al contrario, è convinto che dal climate change e dalla transizione energetica deriveranno anche nuove opportunità di business, per un valore di ben 2.100 miliardi di dollari: più del doppio rispetto ai potenziali danni o costi extra. Si prevedono affari d’oro con le energie rinnovabili e con le auto elettriche, ma anche – è il caso di Eli Lilly – con la vendita di farmaci contro le malattie infettive, la cui diffusione è favorita dalle temperature elevate.
Dati e osservazioni emergono da un’analisi del Carbon Disclosure Project (Cdp), ong londinese che per la prima volta ha ottenuto una quantificazione del climate risk – e della climate opportunity – da parte delle società monitorate. In tutto sono state quasi 7mila a rispondere al questionario, che da quest’anno è allineato agli standard di trasparenza proposti dalla Task Force on Climate-related Financial Disclosure (Tcfd), organismo creato nel 2015 dal G20 in seno al Financial Stability Board.
Alluvioni, siccità, incendi e altre calamità sono sempre più frequenti e pesano su numerosi settori, dall’agricoltura alle assicurazioni. L’impegno a difesa dell’ambiente potrebbe intanto portare a scelte politiche tanto drastiche da rendere antieconomico lo sfruttamento di miniere di carbone o giacimenti di petrolio.
La stima degli oneri extra dovuti al riscaldamento del Pianeta o alle misure per prevenirlo –970 miliardi di dollari per la precisione, di cui 490 considerati un esborso probabile, molto probabile o quasi certo – «è enorme ma è chiaro che è solo la punta di un iceberg», avverte Bruno Sarda, presidente della divisione nordamericana di Cdp.
Tra le società che hanno esplicitato i rischi, che vanno dalla necessità di pagare pesanti carbon tax all’accresciuta possibilità di subire disastri meteorologici, la maggioranza ha sede in Europa: è qui che in modo poco verosimile si concentrerebbe il 66% dei rischi, contro appena il 10% negli Usa. Colpisce in particolare l’assenza totale di disclosure da parte di alcuni big statunitensi, come le major petrolifere ExxonMobil e Chevron, anche se hanno risposto all’appello i pesi massimi di Wall Street – Microsoft, Apple, Amazon e Alphabet – e le maggiori banche..
Ancora più forte è il dubbio di sottovalutazioni da parte delle società che producono combustibili fossili: chi ha risposto al questionario vanta potenziali opportunità di business per 140 miliardi di dollari a fronte di rischi per appena 25 miliardi.