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 2019  giugno 05 Mercoledì calendario

Le nuove tecnologie secondo Shapiro

Continuiamo a ripeterci che le menti giovani sono ancora malleabili e quindi soggette a influenze discutibili. Imploriamo e supplichiamo: per favore, proteggete i bambini da un esercito di ingegneri che li sta manipolando per un tornaconto economico! È immorale, non è etico. Proteggeteli dai programmatori di interfacce digitali, responsabili della loro irrimediabile attrazione per gli smartphone. È pericoloso, sosteniamo, è tutto un gigantesco esperimento ormai fuori controllo.
Così facendo, però, ci comportiamo come gli antichi ateniesi che condannarono a morte Socrate perché corrompeva i giovani. Come le autorità ecclesiastiche che cercarono di eliminare la stampa a caratteri mobili di Gutenberg. E poi ci sono stati la musica pop, il jazz, il cinema, la televisione. È andata così molte altre volte e in molti altri casi. Era assolutamente prevedibile.

Alla fine i genitori diventano i temibili guardiani dell’ingresso, gli antagonisti nel ciclico dramma in cui i giovani eroi sconfiggono i vecchi orchi. È quasi una regola: l’archetipo come algoritmo. Siamo solo un’altra generazione sedotta dalla fantasia nostalgica di un’infanzia che rispecchi quella che noi ci ricordiamo.
Lo psicanalista C. G. Jung l’ha detto ancora meglio: «Il più grande fardello che un bambino deve sopportare è la vita che i suoi genitori non hanno vissuto». Una delle verità assolute per quanto riguarda l’educazione dei bambini è che gli adulti di ogni generazione inconsapevolmente fanno pressione sui propri figli affinché vivano una vita che riproduca il loro passato, ma rettifichi tutti i loro errori. Tutti i bambini combattono contro questa tendenza. Ecco spiegata l’aggressività degli adolescenti. Le battaglie, la rivoluzione. Il potere della lotta.
Non c’è scampo, è inevitabile. Ma si può fare meglio di così. È possibile adottare un approccio diverso, soprattutto quando si parla di bambini e tecnologia. Possiamo smettere di recitare il dramma di Giove contro Saturno. Esiste un’alternativa.
Vesta e Mercurio. La dea della casa e del focolare. Il messaggero alato, il dio della comunicazione, delle «reti». Insieme possono rimodellare la nostra esperienza del futuro, cioè del presente, aiutandoci a restare connessi al passato. (…) Il fuoco eterno di Vesta non era altro che lo spirito di un popolo, il simbolo dell’esistenza di un’identità condivisa che prosperava e sempre avrebbe prosperato.
Proprio adesso, in questo momento, il fuoco delle vestali continua ad ardere in tutto il mondo, lo sapevate? Arde negli edifici religiosi, nei monumenti nazionali, spesso anche nei memoriali. Wikipedia ha compilato una lista di più di cento fuochi perpetui che bruciano in 51 diversi Paesi.
Possiamo considerarli dei monumenti celebrativi, ma io so che appartengono ancora alla dea. In un certo senso, tutte le fiamme le appartengono.
Prima che i romani la ribattezzassero Vesta, prima ancora che questi monumenti fossero costruiti, gli antichi greci la chiamavano Hestía. Usavano la stessa parola per indicare il focolare, il calore della fiamma che brucia e la divinità della casa e della vita domestica. Questo perché la fiamma del focolare di Vesta rappresenta le radici familiari, il lignaggio, l’eredità: tutto ciò che gli antichi romani includevano nel significato della parola gens. Parola da cui derivano i moderni termini di «genetica» e «genoma».
Esatto, abbiamo preso in prestito l’idea di continuità ancestrale propria di Vesta e l’abbiamo espressa attraverso metafore scientifiche, tecnologiche ed economiche. I tratti della potente divinità sono ora riflessi nel nostro dna. È un codice biologico, lo schema delle nostre caratteristiche fisiologiche di base. Il suo tempio adesso è il laboratorio, il genetista il suo sacerdote.
Oggi immaginiamo che l’essere umano sia fatto come un computer, con hardware e software. Noi scambiamo e barattiamo cromosomi con i nostri compagni, l’algoritmo che abbiamo ereditato si muove come un insieme di dati, scorre come un flusso di informazioni, legandoci al passato e generando dei dividendi che la nostra prole trasporterà nel futuro.
Ma è importante capire che alla radice di tutto c’è la nostra mentalità. Abbiamo cominciato a vederci così molto prima di Charles Babbage, Alan Turing, Grace Hopper o Steve Jobs. Prima dell’algebra di Boole o del codice Morse.
Sì, lo so che sembra che le macchine stiano prendendo il sopravvento sulle nostre vite, che siano loro a dettare nuovi comportamenti, a cambiare il modo in cui comunichiamo. Ma in effetti è il contrario. Esattamente il contrario: gli strumenti non ci usano, siamo noi che usiamo loro.
Abbiamo sviluppato questa tecnologia digitale della rete, questo codice binario, perché ci permette di interagire con il mondo in maniera conforme a come immaginiamo noi stessi. Ci consente di connetterci e comunicare in modi che riflettono ciò che empiricamente immaginiamo. Ci dà la possibilità di manifestare una realtà che rafforza la nostra attuale, limitata, comprensione dell’universo.
Non appena ce ne rendiamo conto, arriviamo alla vera radice della questione. Realizziamo che non c’entrano i microprocessori. Non c’entrano i social network. Non c’entrano i videogiochi. Non c’entrano gli smartphone. Non c’entrano niente i bambini.
Il vero problema è che il vecchio concetto di «casa» – i valori, i comportamenti, le idee, le abitudini, e le tradizioni che un tempo accendevano il focolare domestico – si sta estinguendo. Il potere di Vesta sta diventando invisibile, si concentra unicamente a livello microscopico, cellulare.
Al giorno d’oggi, la dea esiste solo nel nostro dna. È stata ridotta a un semplice codice da comunicare e trasmettere. È Mercurio che lo trasporta. Troppo in fretta. Le sue braci ardono appena.
Abbiamo quindi un disperato bisogno di un nuovo modo per alimentare la fiamma della dea. Per dar fuoco ai suoi carboni ardenti. Questo è l’arduo compito che spetta ai genitori di oggi. Come si fa a produrre una scintilla incandescente, un’àncora, un focolare simbolico? Focus è la parola latina per indicare il fuoco. Ecco perché così tanta gente si preoccupa della curva dell’attenzione dei più giovani. L’hanno capito, anche se non se ne rendono conto. Sanno che il problema non è che i nostri figli non riescono a concentrarsi. Sì che ci riescono. Basta guardarli mentre giocano ai videogiochi, mentre si impegnano a scattare il selfie perfetto, mentre chattano o mandano un messaggio. Quel che vedrete è un livello di impegno cognitivo in assenza di distrazioni con cui nessun adulto potrebbe competere. È determinazione e devozione. Ma non c’è il «fuoco». Non c’è brace, non ci sono fiamme.
In altre parole, i nostri figli sono connessi a tutto meno che al passato. Perché? Perché gli adulti hanno fallito nel compito di trasformare ciò che è stato in ciò che oggi diviene, hanno fallito nel guardarsi indietro, nell’individuare quel che conta e trasportarlo «avanti».
Abbiamo fallito resistendo agli strumenti del futuro.
Se vogliamo prenderci cura dei nostri bambini, se siamo preoccupati per il futuro dell’infanzia, dovremmo lasciar volare Mercurio, ma non a spese di Vesta.

Quel che bisognerebbe fare è connettere l’antico con il moderno e reimmaginare la classicità in modo che continui a dar forma alla contemporaneità.—
Traduzione di Clara Serretta

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