La Stampa, 5 giugno 2019
La fumata bianca per ora non c’è stata. Il consiglio di amministrazione di Renault ieri alle 15 si è regolarmente riunito per esaminare la proposta di fusione avanzata da Fiat Chrysler Automobiles il 27 maggio scorso
La fumata bianca per ora non c’è stata. Il consiglio di amministrazione di Renault ieri alle 15 si è regolarmente riunito per esaminare la proposta di fusione avanzata da Fiat Chrysler Automobiles il 27 maggio scorso. Ma poi i consiglieri hanno deciso di darsi ulteriori 24 ore per continuare a esaminare i dettagli del piano delineato dal presidente di Fca John Elkann e da lui discusso con il numero uno della casa francese, Jean-Dominique Senard. Un nuovo cda è così convocato per oggi a fine giornata. A far vedere il bicchiere mezzo pieno è l’espressione usata nel comunicato emesso da Renault: «Si è deciso di continuare a studiare con interesse l’opportunità di una tale fusione». Insomma, potrebbe intendersi come un primo sì. I mercati finanziari sembrano pensarla in questo modo, visto che hanno premiato entrambi i titoli: quello di Renault è salito del 4,28% mentre quello di Fca ha chiuso in rialzo del 3,87%, riavvicinandosi al 12 euro. A beneficiare degli acquisti anche Exor, che sale del 4,1%. Gli investitori dimostrano insomma di guardare con attenzione alle prospettive dell’operazione. Al quartier generale di Boulogne-Billancourt, affacciato sulla Senna, alle porte di Parigi, i consiglieri di Renault sono arrivati alla spicciolata. Fra i primi il presidente Senard, sorriso di circostanza e bocca cucita, reduce da una telefonata con l’omologo in Nissan, Hiroto Saikawa. Un luogo simbolo Billancourt, non solo per la Régie, ma anche per la storia della Francia industriale e operaia. È proprio a Boulogne, in un’ansa della Senna, che Louis Renault installò nel 1898 l’atelier in cui, con sei operai, fabbricò la sua prima vettura. Il piccolo laboratorio è ancora là, conservato come una reliquia. Nella grande fabbrica che si svilupperà con gli anni arriveranno i primi scioperi operai, poi l’occupazione tedesca, il collaborazionismo di Louis Renault, la nazionalizzazione del generale De Gaulle, la cogestione di fatto fra lo Stato e la Cgt, il sindacato comunista, la cui sede nello stabilimento venne ribattezzata «il piccolo Cremlino». Quindi il maggio del ‘68, le occupazioni, il Pcf e la «gauche», fino alla normalizzazione degli stabilimenti. E una privatizzazione che vede comunque sempre lo Stato a dire la parola decisiva. Dalla vecchia fabbrica con le sue enormi catene di montaggio sono passati in tanti quando ancora non erano famosi. Da Simone Weil a Georges Brassens, al celebre fotografo Robert Doisneau. Nel 1925, per due mesi, anche un giovanissimo Deng Xiao-Ping studente lavoratore a Parigi. Ecco, bisogna partire da qui per comprendere l’ostinato lavorìo dei francesi per strappare condizioni di miglior favore all’interno della futura fusione. Così la fusione, parole di Bruno Le Maire, «è una reale opportunità per Renault e per l’industria automobilistica francese». Ma poi lo stesso ministro dell’Economia è in prima fila invocare una serie di garanzie allo scopo di evitare tagli occupazionali e difendere l’interesse nazionale, tra cui il quartier generale operativo del nuovo gruppo a Parigi, un dividendo straordinario per gli azionisti di Renault e un posto al governo in cda. L’obiettivo è comunque quello di formare nel quadro della fusione «tra eguali» proposta dal gruppo italo-americano, il terzo colosso mondiale nel settore dell’auto, in grado di vendere 8,7 milioni di vetture, che diventerebbero oltre 15,5 allargando l’intesa a Nissan-Mitsubishi e diventando i numeri uno del pianeta. Il progetto prevede una holding basata ad Amsterdam, divisa 50- 50 tra Renault e Fca, e quotata a Parigi, New York e Milano. La famiglia Agnelli, che controlla il 29% di Fiat-Chrysler, vedrebbe la sua parte diluita al 14,5%,restando però primo azionista della nuova entità, mentre lo Stato francese scenderebbe al 7,5% dall’attuale 15% che detiene in casa Renault, esattamente come Nissan. Con una differenza rispetto a oggi: i giapponesi hanno il 15% di Renault senza diritto di voto, diritto che avrebbero nella holding olandese. Lo Stato francese potrebbe occupare una delle quattro poltrone in quota Renault, oltre alle quattro di Fca. Viene inoltre ipotizzato che Renault possa cedere all’esecutivo uno dei suoi due seggi nel comitato nomine. Questa configurazione permetterebbe a Parigi di dire la sua sulla governance della futura entità. Dai principali attori, però, arriva solo un secco no comment. In Italia, intanto, dopo l’incontro parigino nel weekend fra Le Maire ed Elkann è polemica politica, con le opposizioni, a partire dall’ex ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda (Pd), che accusano il governo di essere «completamente assente». Oggi si attende la fumata bianca e per domani una conferenza stampa congiunta Elkann-Senard sulle grandi linee del progetto. Poi partirà la trattativa esclusiva sui dettagli. Potrebbe durare mesi, se non addirittura un anno.