La Stampa, 5 giugno 2019
Arbitre a lezione contro i pregiudizi
Dentro un bosco si prepara la prima delle tante rivoluzioni mondiali che porteranno il calcio femminile oltre la zona d’ombra. Insep ovvero sport di alto livello, uno dei centri di formazione di cui la Francia va orgogliosa e lì una squadra sta preparando il debutto. Sono gli arbitri, le arbitre, già la declinazione pone un problema linguistico anche se loro certe domande hanno smesso di farsele da tempo. Contano le risposte
Michelle O’Neil, l’irlandese del gruppo, fa spallucce: «Alla prima uscita mi hanno chiamata Michael. E sia. Poi fai quello che devi e ti restituiscono la tua identità». «L’arbitro è neutro per natura», parola di Bibiana Steinhaus, la prima europea a dirigere partite maschili di alto livello, a fischiare in Bundesliga. Una volta portava i capelli corti convinta che facessero parte del ruolo, oggi ha una coda bionda e il sorriso effervescente di chi, a 40 anni, ha accantonato la fase degli stereotipi da un pezzo: «Ho visto il calcio femminile evolversi così in fretta, so quanto la prospettiva sia cambiata, quanto cambierà. Guardate quel che succede in Italia, in un attimo un movimento si è fatto riconoscere. Sono felice che le azzurre si siano qualificate, c’è cultura del gioco da voi ed è giusto metterla in circolo». Bibi, come la chiamano tutti, ricorda ancora quando ha incrociato Patrizia Panico, record di gol nella storia della nostra nazionale, «come potete immaginare, mi ha dato parecchio da lavorare». Altri tempi, oggi le signore che si preparano ai Mondiali seguono la stessa preparazione dei colleghi maschi. Identica metodologia impostata da Pierluigi Collina, capo del settore in Fifa, che presenta questa «famiglia» con un certo orgoglio: «Il livello non fa che salire». In Francia ci sarà la Var che nel mondo femminile non scatena nessuna diffidenza, «è una strada già tracciata». In questa edizione hanno uno staff medico al seguito che non si era mai visto e dal 30 maggio sostengono la rifinitura tutte insieme. O quasi. Una delle più stimate, la canadese Carol Anne Chenard, ha scoperto dieci giorni fa di avere un cancro al seno, ma Collina ci tiene a fare il suo nome, a motivare l’assenza: «Qui ci muoviamo a carte scoperte e a testa alta».
Effetto fairplay
Steinhaus non ha mai ricevuto insulti, «so che sui campi dei ragazzini, nei campionati lontano dal professionismo ancora capitano tanti incidenti, ma quello che dobbiamo fare noi è stare qui, svolgere un ruolo, non spostarci. Razzismo, sessismo: ogni deriva ignorante si combatte solo con la fermezza, con la semplicità che ti dà la ragione». E lei sarebbe pronta a fermare una partita per dei buu raccapriccianti? «Certo che sì, le regole ci sono e non si deve avere paura di usarle».
La collega Stephanie Frappart qualche insolenza in carriera l’ha registrata. Ora si muove veloce in Ligue 1 ed è molto rispettata: «Non mi accorgo più, ho il mio fischietto, la partita, il resto non dipende da me». Kate Jacewicz, australiana e arbitro da 13 anni ha seguito una vocazione «forse strana a prescindere dal genere. Gli uomini vengono massacrati più di noi. Ma questo lavoro lo fai perché sei competitivo, perché l’idea di saper controllare una sfida è esaltante. Il Mondiale che inizia è diverso, c’è un’energia nell’aria mai vista e poi si può dire? Le ragazze hanno ancora una purezza di fondo del gioco per il gioco che le tiene per ora lontano dai trucchetti».
Allora qualche differenza c’è. Collina nega «il fair play è asessuato». Bibi allarga ancora di più il sorriso che non si è mai tolta dalla faccia: «Non so» e mima un cuore «le donne cercano sempre di fare squadra, e dire che ci hanno storicamente accusato di non esserne capaci». La coda ondeggia e la posa a braccia conserte esalta il fisico imponente. Arbitri o arbitre sono pronte.