la Repubblica, 5 giugno 2019
Ritratto di Rocco Commisso, nuovo padrone della Fiorentina
Non ci fossero stati nella sua vita due grandi no, a ricordargli che da italoamericano non doveva sognare cieli più alti, Rocco Commisso ieri non sarebbe stato in uno studio notarile di Milano, con i giornalisti ad attenderlo fuori. Perché l’ostinazione di quest’uomo di 69 anni, nato a Marina di Gioiosa Ionica, emigrato in Usa a dodici anni per raggiungere il padre falegname, e diventato fondatore del quinto gruppo di telecomunicazioni d’America, nasce da una passione sanguigna fatta di due elementi: il calcio e la rivincita. Rocco, come si fa chiamare, tifa Juve da bambino e Cosmos dai tempi di Pelé e Chinaglia, ma è soprattutto un concreto calabrese cresciuto nel Bronx, uno che da piccolo chiamavano “pitozzu”, il sasso che cade e non si spezza, perché si buttava a volo d’angelo sui palloni per mostrare ai grandi il suo coraggio. In Pitozzu niente è mai stato lieve, ogni ostacolo è diventato trampolino di lancio: appena arrivato in Usa, fine marzo ’62, senza conoscere l’inglese riuscì a farsi promuovere a scuola a giugno. Ottenne l’iscrizione a un liceo privato vincendo un talent show in cui suonava la fisarmonica. Seguì la scholarship alla Columbia University grazie al calcio. L’ingresso a Wall Street nella banca di Rockfeller, la Chase Manhattan Bank, primo italoamericano della storia, sembrava il passaggio naturale di una vita in discesa. Ma qui, sul più bello, Commisso si sentì rivolgere il primo no razziale: gli tolsero il cliente migliore, la General Motors. Sei troppo vistoso, disse il capo, hai un nome buffo e vesti male. I capelli lunghi e neri alla Spadino di Happy Days e la camicia a punte lunghe non sarebbero mai stati un viatico per la scalata nel mondo finanziario americano. Commisso venne spostato al settore autotrasportatori, dove c’erano i «mafiosi», gli italoamericani. Fu la sua fortuna: conobbe il fondatore di Cablevision, gigante dei media, che gli diede la poltrona di direttore finanziario e il terreno su cui costruire il futuro da miliardario. Nel ’95 Roccò fondò Mediacom, vedendo prima di tutti il business della tv online e internet da portare nelle zone rurali d’America. Dopo la quasi bancarotta del 2002, Commisso è risalito, arrivando a ricavi annui da oltre due miliardi. Il suo patrimonio sfiora i cinque miliardi di dollari. Il calcio, nel frattempo, non è mai uscito dalla sua vita. Gli hanno offerto Sampdoria, Pescara, Palermo, Catania, Reggina. Pallotta gli chiese di entrare nella Roma. Nel 2017 Commisso ha salvato i Cosmos dal fallimento, dopo una trattativa durata sedici ore in cui ottenne dalla federazione l’iscrizione alla serie B. Poi ha cercato il grande rilancio in Italia, sfiorando l’acquisto del Milan, dopo un primo approccio con la Fiorentina andato male. Ma in questi mesi è successo qualcosa: nella riorganizzazione tipicamente americana, in cui aprono e chiudono campionati come scatole di scarpe, i Cosmos sono finiti in quarta serie. E Commisso ha incassato un altro bruciante no: quello della Major League Soccer, la serie A americana. Rocco aveva messo sul tavolo 150 milioni di dollari per iscriversi, e altri 300 di investimenti. Certo, è poco de Coubertin ma qui fanno tutti così, ultima Cincinnati. Il commissioner, Don Garber, stavolta ha detto no. Due no di quel peso, anche se diluiti nell’arco di quarant’anni pieni di successo, hanno scalfito il monolite di cui sembra composto Commisso. “Pitozzu” è convinto di essere stato escluso di nuovo dal gotha per il suo essere italoamericano, ma anche stavolta non si spezza. Voleva lasciare un’impronta nel calcio, rilanciando i Cosmos. La Fiorentina potrebbe essere la nuova sfida per mostrare agli americani cosa succede a un sasso italiano quando lo fai cadere.