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 2019  giugno 05 Mercoledì calendario

Gli artisti sono falsari o ladri?

Si potrebbe chiamare la “Copy Cat Syndrome” ovvero la sindrome del copione, una malattia che affligge o ha colpito molti artisti nel corso della storia. Picasso diceva: «I bravi artisti copiano, i geni rubano». Affermazione con la quale si riferiva a se stesso sia come genio che come ladro. La sua indiscutibile genialità stava nell’essere capace di rielaborare le idee o le immagini altrui in modo del originale e il più delle volte eccezionale.
E negli ultimi decenni il problema del copyright di un immagine affligge il mondo dell’arte. A partire da Jeff Koons, sono innumerevoli i bersagli di cause legali, spesso vinte da chi accusa questi “geniali” o semplicemente “bravi” artisti di copiare o rubare le proprie immagini. Proprio qui sta il punto. Copiare paro paro un’immagine creata da un altro è chiaramente un furto, ma prendere un immagine di un altro e trasformarla in una propria idea cos’è? Furto? Interpretazione? Ispirazione? Stiamo parlando di quella che qualcuno definisce “Sindrome di Meucci”, riferita all’inventore del telefono che poi il signor Alexander Graham Bell brevettò diventando ricco. Meucci accusò sempre Bell di avergli rubato l’idea. Come siano andate le cose non lo sappiamo, ma la domanda è: la telefonia sarebbe arrivata dove è arrivata se Bell non avesse sviluppato e brevettato l’idea che magari aveva preso da Meucci?
Non lo sapremo mai. Quello che dobbiamo chiederci è quanto valore ha un’idea nelle mani di chi non riesce poi a farla maturare in qualcosa di altro? Ci sono casi e casi. Jeff Koons nel 1988 realizzò una scultura di legno, String of Puppies, chiaramente ispirata a una foto del 1985 di Art Rogers, che fece causa a Koons e vinse.
Un tempo gli artisti come Monet guardavano la natura e la copiavano o la interpretavano e i contadini non facevano causa a un pittore perché gli aveva rubato l’idea del covone di fieno che loro avevano costruito con tanta fatica. Da molti anni la natura non è più fatta solo di covoni ma da milioni d’immagini che arrivano da tutte le parti, e formano il paesaggio nel quale viviamo. L’artista cinese Ai Weiwei vede la foto dei giubbotti arancioni abbandonati su una spiaggia dai migranti e ne fa una una installazione, negli spazi del palazzo Kunsthal Charlottenborg di Copenhagenle: né il fotografo che ha scattato l’immagine né i migranti sembrano avere nulla da ridire. Poi però, quando una società che produce automobili (la Volkswagen) fa una pubblicità con una delle sue vetture davanti all’installazione, Ai Weiwei intenta una causa: il processo, che si svolge nella capitale danese, è cominciato a fine maggio. Eppure l’opera dell’artista cinese è pubblica, diventata parte del paesaggi.
L’americano Richard Prince anni fa fece una serie di opere, utilizzando i cowboy di una marca di sigarette. Nessuno batté ciglio, né l’autore delle foto, né l’azienda. Forse perché, anche se l’artista aveva eliminato il nome del marchio, gli faceva comunque pubblicità gratuita. Oggi una di quelle foto può essere venduta a un’asta d’arte contemporanea per un paio di milioni di dollari.
Maurizio Cattelan in una mostra al museo di Bregenz, in Austria, nel 2007, prese in “prestito” uno scatto della fotografa Francesca Woodman del 1977, un autoritratto dell’artista che penzolava da uno stipite di una porta. Cattelan trasformò la foto in bianco e nero in una colorata scultura, prima installata in cima a delle scale, poi riciclata in una cassa di legno e messa di spalle. Nessuno ebbe niente da ridire, l’opera fu venduta per centinaia di migliaia di dollari. Dove sta la genialità? Nel fatto di avere immaginato la trasformazione di una foto in una scultura capace di trasformare lo spazio dove sarebbe stata esposta.
Veniamo ora a due casi invece un po’ più spinosi. L’artista Cinese Liu Bolin dipinge se stesso come l’ambiente che gli sta intorno scomparendo in esso alla maniera di un camaleonte. Poi fa una foto. Nel 1988 la modella Veruschka e il fotografo tedesco Holger Trulzsch fecero una serie di lavori esattamente uguali a quello attuale di Liu Bolin. L’idea della coppia tedesca non era forse geniale, ma sicuramente a quel tempo era originale. Un giudice salomonico potrebbe arrivare alla conclusione che Trulzsch e Bolin non sono geni ma semplicemente due bravi artisti.
Ma veniamo al caso più eclatante e divertente, quello del pittore Ye Yongqing, pessimo ma molto quotato, al quale ha fatto causa lo sconosciuto e altrettanto pessimo artista belga Christian Silvain. Silvain accusa Yongqing di averlo copiato, proprio come si faceva a scuola. Non c’è bisogno di un giudice per decidere se ha ragione. Le foto diffuse sui giornali europei e cinesi mostrano le opere dei due artisti, una accanto all’altra. Quelle del belga create negli anni ’80 e quelle del cinese degli anni ’90: identiche. L’unica differenza è che Silvain vende un suo lavoro a 6 mila euro, Yongqing a 600 mila.
Chissà cosa avrebbe detto Picasso, non essendo l’originale e il copione né bravi né geniali. Forse la morale è che – in un mondo travolto da immagini, vere, false, nuove o riciclate, e da influenze e ispirazioni di tutti i tipi – per creare qualcosa di rilevante chiunque deve essere in grado di mescolare, in dosi più o meno uguali, sia genialità che bravura. Senza mai dimenticare, però, quella giusta ed essenziale dose di onestà.