la Repubblica, 4 giugno 2019
Da Sarajevo a Ground Zero le mille armonie di Ravenna
La musica come un viaggio, l’arte come una bandiera da sventolare nei luoghi dei conflitti dei nostri tempi La città conferma la sua vocazione e festeggia il suo anniversario con un’edizione che torna alla Grecia.La Tomba di Dante e il cuore pensante di Ravenna Festival sono vicini di casa. Si affacciano entrambi sulla stessa via, una strada del centro storico disegnata come una scenografia e intitolata, inevitabilmente, al nome del Poeta. Sulla destra un totem e una selva di biciclette appoggiate al muro indicano l’edificio che ospita da trent’anni gli uffici del festival e sullo sfondo, quasi a chiudere la scena, un tempietto neoclassico sormontato da un timpano e da una cupoletta azzurra. Sopra il portale d’ingresso una scritta in caratteri maiuscoli: “Dante Poetae Sepulcrum”. Forse è a causa di questa prossimità, di questa frequentazione quotidiana, che sin dalla sua nascita, esattamente tre decenni orsono, Ravenna Festival segue il passo della vita materiale e della vita poetica di Dante Alighieri.Innanzitutto il tema canonico del viaggio, esemplato sul cammino immaginario che Dante, nella Commedia, compie attraversando i tre regni dell’Aldilà. Sin dalle origini il festival ha assecondato e nutrito la vocazione cosmopolita di Ravenna, città-crocevia, città-mondo, sempre aperta all’incontro con le civiltà d’Oriente e d’Occidente. E si è messo, concretamente in viaggio, come nessun altro festival europeo ha mai fatto. I viaggi verso gli inferni e i purgatori del mondo (raramente verso i paradisi) iniziano nel 1997 e portano il festival in uno scenario di guerra: la citta di Sarajevo, che, ad appena due anni dalla fine dell’assedio, recava ancora le ferite dei bombardamenti. Da allora l’Atlante storico e geografico del festival aggiunge ogni anno una pagina nuova. Con una idea precisa in testa, sostenuta e condivisa da Cristina e Riccardo Muti: sventolare la musica come una bandiera di pace nei luoghi dei conflitti più aspri del nostro tempo. Nel 1998 il festival approda a Beirut, nel pieno del conflitto del Libano Meridionale scoppiato nel 1982 e che si sarebbe concluso soltanto alla fine del millennio. Nel 2001 a Erevan e Istanbul, unendo i lembi di due Paesi ancora in contrato tra loro dopo il genocidio degli armeni del 1915. Nel 2002 a New York, Ground Zero, dieci mesi dopo l’attentato alle Twin Towers. Nel 2004 a Damasco, in una Siria che sembrava lontana, ma non lo era, dalla guerra civile scoppiata dieci anni più tardi. Nel 2013 a Mirandola, appena un anno dopo il terremoto. E infine nei due anni appena trascorsi a Teheran e a Kiev: due luoghi sensibili e cruciali dello scacchiere geopolitico internazionale. Mai viaggi “di conquista”, ma sempre di incontro. Ogni anno due concerti “gemelli": il primo “oltre mare”, il secondo, sulle strade di casa. E ogni volta le orchestre dirette da Riccardo Muti hanno accolto tra le loro braccia i musicisti di ciascun paese: cori bosniaci, violinisti siriani, orchestre armene, percussionisti egiziani, cantanti africani. Un abbraccio reciproco, un costante scambio di doni.
Questa stessa vocazione al viaggio, al cammino, alla scoperta di mondi lontani, Ravenna Festival l’ha però rivolta anche verso il suo nido natale. Lentamente, nel corso degli anni, dal fazzoletto compreso tra il Teatro Alighieri e la Tomba di Dante, il festival si è allargato, disegnando cerchi concentrici sempre più ampi intorno al nucleo di partenza. Prima gli altri spazi teatrali della città come il Teatro Rasi, ricavato a fine Ottocento dalla ex chiesa di Santa Chiara, poi il “perimetro sacro” delle sette basiliche della città, da S. Vitale fino a S. Apollinare in Classe, e poi via via le periferie: il Pala de André, costruito nel 1990, le Artificerie Almagià, il vecchio magazzino dello zolfo, a due passi dalla Darsena, trasformato in una sala da concerto, e ancora negli ultimi anni il Porto Antico di Classe, le Valli di Comacchio, il Lido di Dante, fino alla conquista, quest’anno, di due nuovi spazi: la “città dei container” affacciata sul Canale della Darsena e infine Classis, il nuovissimo “Museo della Città e del Territorio” ricavato dall’ex zuccherificio di Classe, a due passi dai mosaici millenari di S.Apollinare.
Ma è un’altra, forse, la parola che con maggiore esattezza rispecchia l’essenza dell’edizione numero trenta del festival che non a caso trae il proprio titolo, “…per l’alto mare aperto…”, dal ventiseiesimo canto dell’Inferno di Dante. È quel particolare tipo di viaggio che gli antichi greci chiamavano nostos, il ritorno. Speso il ritorno da un esilio. Proprio alle origini della nostra civiltà tornerà infatti quest’anno il Viaggio dell’Amicizia: la città di Atene. E da Atene risaliranno a loro volta il Mare Nostrum le voci della Grecia di oggi: il canto “antico” di Nektaria Karantzi, il violino di Leonidas Kavakos, Zorba il Greco di Theodorakis, la parabola di Alexandros Panagoulis, i miti di Medea e di Edipo. Un ritorno speciale sarà anche quello che farà nuovamente incontrare, dopo sei anni, Maurizio Pollini e Riccardo Muti, ai quali è affidato domani il concerto di apertura. La musica – come “recita” l’icona simbolo di Ravenna Festival numero 30 – è davvero un cancello sulla sabbia che guarda verso il mare.