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 2019  giugno 04 Martedì calendario

Le morti e i funerali biologici

La notizia viene dallo Stato di Washington, all’estremo nordovest degli Usa, lontano per la geografia ma vicinissimo per le nostre abitudini quotidiane visto che vi si trova Seattle, la città dove hanno sede Amazon e Microsoft. Se da lì partono tendenze destinate a conquistare il mondo, ben presto i cimiteri del pianeta saranno sostituiti da parchi e giardini fertilizzati con i resti dei defunti. Primo tra i 50 Stati federali, quello di Washington ha infatti legalizzato il compostaggio dei cadaveri. In vita si potrà scegliere di farsi trasformare in terriccio che i congiunti useranno per piantare alberi o fiori. Il corpo viene messo in un contenitore d’acciaio con erba medica, paglia, trucioli di legno, altre materie organiche, batteri; viene sigillato e portato a una temperatura di 55 gradi per un mese, un tempo sufficiente per decomporre il tutto e trasformarlo in una madre terra inodore, priva di organismi patogeni e sostanze inquinanti. È lo stesso metodo impiegato da molti allevatori con le carcasse animali. Il che ci avvicina ulteriormente al livello dei quattrozampe.
Il compostaggio, già legale in Svezia, è una soluzione estrema. Ma è un fatto che la moda «green» stia arrivando fino a toccare l’ultimo limitare dell’esistenza. Perché le ragioni accampate per convertire un corpo umano in concime sono le stesse che alimentano l’economia circolare e le teorie del riciclo: il funerale bio rispetta l’ambiente, previene gli sprechi, costa poco ed evita il consumo di suolo che anzi viene rivitalizzato. È esattamente quanto avviene con la frazione organica nella raccolta differenziata dei rifiuti.
GLI ULTRÀ DELL’URNA
L’accostamento non è azzardato: i paladini del riciclo macabro sono infatti contrari anche alla cremazione, così come gli ambientalisti osteggiano i termovalorizzatori. Incenerire un defunto fa consumare combustibili fossili per riscaldare il forno crematorio, rilascia sostanze tossiche nell’aria tra cui mercurio (quello impiegato nelle otturazioni dei denti), monossido di carbonio, diossine e polveri sottili, ed è pure dispendioso, anche se costa di più comprare una tomba.
In Italia qualcosa di simile è sperimentato in un bosco nell’entroterra di Savona, nell’alta valle del torrente Orba, dove la cooperativa Boschi vivi ha lanciato un’«alternativa ecologica» alla sepoltura tradizionale nei cimiteri: l’interramento delle ceneri sotto un albero scelto prima di passare all’aldilà. Un gruppo di quattro ragazzi ha comprato il terreno per 36.000 euro e ha lanciato il servizio. Si può scegliere l’eterno riposo tra diverse essenze vegetali (castagne, querce, ciliegi) e tra numerosi tipi di sepoltura con tanto di targhetta affissa sul tronco: un albero singolo «per chi ama un contatto personale e diretto con la natura»; un albero di comunità «per chi ha uno spirito libero e ama condividere i propri ideali con gli altri»; un albero famiglia «per chi desidera un memoriale che accolga tutti»; un albero coppia «ideale per chi desidera condividere la memoria del proprio amore attraverso un tramite speciale». Il bosco mistico è sempre aperto e può essere visitato preventivamente, senza impegno. La coop si offre anche come guida nella giungla burocratica. Previsti pure gli «infoday» una volta al mese, una specie di «porte aperte» come s’usa nelle scuole e nelle università prima di scegliere sotto quale catasta di libri seppellirsi.
All’estero la morte sostenibile è un business che punta a soppiantare quello dei funerali tradizionali, che causerebbero inquinamento e sprechi di terreno, di legname, di calcestruzzo, di metalli come rame, bronzo, zinco, acciaio, per non parlare delle sostanze tossiche impiegate nell’imbalsamazione: milioni di litri di benzene, metanolo, formaldeide. 
LA CAPSULA
È un grosso affare soprattutto nei Paesi dove è possibile seppellire qualcuno senza la bara, una pratica vietata in molti Paesi del mondo (compresa l’Italia) per motivi igienici e sanitari ma consentita in molti altri e obbligatoria per la religione islamica. Cresce l’utilizzo di bare biodegradabili, cioè contenitori realizzati in cartone riciclato, fibre di bambù, legno privo di colle, solventi, vernici e decorazioni, le quali possono essere impiegate anche se si dovesse scegliere la dispersione delle ceneri dopo la cremazione. Negli Stati Uniti questo settore cresce a un ritmo del 30 per cento annuo.
Due designer italiani, Anna Citelli e Raoul Bretzel, hanno creato un paio d’anni fa la «capsula mundi»: un recipiente biodegradabile al 100% dalla forma «arcaica e perfetta» di un uovo che viene messo a dimora «come un seme nella terra», sopra il quale si pianta un albero scelto in vita dal defunto, «curato da familiari e amici come un’eredità per i posteri e il futuro del pianeta». Negli Stati Uniti è invece in vendita per la modica cifra di 140 dollari la «Bios urn» in cui finiscono ceneri, terra, concime. Con altri 5 dollari si può aggiungere il seme di una pianta: acero, pino, quercia, perfino la «pawlonia tormentosa» meglio conosciuta come albero della vita. Allo stesso prezzo si acquista l’ecobara per animali. Vale 199 dollari l’urna «love edition», cioè di coppia. Per chi se lo può permettere, è in listino a 695 dollari un grande vaso di design con un sistema di irrigazione da tenere nell’angolo più tranquillo della propria casa. Spedizioni in tutto il mondo.
RITORNO ALLA VITA
È l’ultima frontiera della «green life» che diventa «green death». Nel Regno Unito un’associazione premia le imprese funebri più virtuose per l’ambiente. Secondo lo statunitense Green burial council, il 25 per cento degli americani vorrebbe un ecofunerale in modo da tornare a fare parte integrante della natura: «Per qualcuno che ha passato la vita a riciclare e a guidare una Prius ibrida ha detto il titolare di un’impresa funebre statunitense specializzata in bioesequie – è strano essere sepolto nel cemento, in una bara sigillata con la plastica, con il corpo pieno di cose chimiche». 
Ma nella rincorsa al trapasso sostenibile non c’è soltanto un tentativo di esorcizzare un evento – la morte – che di per sé è insostenibile, o un ambientalismo esasperato. Vi si nasconde anche una domanda, forse inespressa, di ritorno alla vita dopo la morte. Un’aspirazione lasciata insoddisfatta dal tramonto delle religioni, delle filosofie, delle ideologie. È il riemergere di un desiderio primordiale di immortalità, di riprendere in qualche modo a vivere dopo la morte. Un ritorno (letterale) alle radici. La risurrezione della carne, senza la quale San Paolo diceva che «vana è la nostra fede», è stata archiviata. 
La cremazione è arida e inquinante. I cimiteri sono luoghi tristi e sempre meno frequentati. Le bare costringono a tagliare sempre più alberi. Invece fa presa l’idea di trasformarsi in un albero, di essere utili anche quando il cuore si ferma, e continuare a palpitare almeno un po’. Non è un caso che lo slogan della coop Boschi vivi sia «la vita oltre la vita». Un modo per esprimere l’insopprimibile fame di un paradiso verde anziché azzurro. O comunque di qualcosa che non abbia una fine.