Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  giugno 04 Martedì calendario

Estratto da una nota scritta da Alessandro Baricco per il libro ’The Game Unplugged’

The Game continua anche senza di meAlessandro Baricco racconta come il suo saggio sul mondo digitale abbia generato una serie di interventi diventati adesso un altro libro
Ho scritto The Game, e quello che pensavo di fare era una mappa. Decifrare un continente, misurarlo, dargli un nome. Avevo in mente di ritrovarmi, alla fine, con un atlante di quello che avevamo combinato, negli ultimi quarant’anni, cercando un modo diverso di stare al mondo. Una delle possibili mappe del mondo che viviamo. Poi, dopo, non è che sapessi esattamente cosa aspettarmi. Molte correzioni, credo. Qualche sprezzante confutazione da parte di gente che la sapeva più lunga. Ma anche l’eventualità che molta gente adottasse quella mappa per cominciare a ragionare, a orientarsi, al limite trovare la strada di casa. E in effetti, è più o meno quel che è successo. C’era giusto una cosa, che mi mancava. Una cosa che credo di avere desiderato dalla prima volta che mi sono messo lì a scrivere una pagina di The Game : mi mancava che qualcuno continuasse a scriverlo. È la cosa migliora che possa accadere a una mappa. Che altri esploratori-cartografi la completino, la aggiornino, la rubino, al limite la rovescino – insomma che la adottino come grammatica di base (magari primitiva, magari perfino ingenua) con cui costruire, nella loro lingua, la loro descrizione del mondo. Non sono sicuro di riuscire a spiegarmi, ma per fortuna adesso c’è un esempio di quello che sto cercando di dire – la prova che quella cosa esiste: ed è The Game Unplugged.
Poi ognuno può raccogliere, da quelle pagine, le suggestioni che preferisce: io ci ho trovato nomi per intere regioni, o intere regioni dove io avevo giusto appuntato un nome. Per dire: che il capitale simbolico sia la moneta corrente del Game – diciamo la sua valuta ufficiale – è una cosa che forse sapevo, ma senza saperla veramente. Che il termine nostalgia sia largamente inadatto a definire certe inspiegabili debolezze del Game per i bei tempi andati l’ho capito davvero quando qualcuno mi ha fatto scivolare lì la parola retromania, facendomi notare quali conseguenze immani ha avuto la scelta di aprire gli archivi della memoria a chiunque. Mentre mi deliziavo a scoprire che Amazon “vede” i brani più sottolineati dei libri e sa a che pagina i lettori hanno piantato lì un romanzo, qualcun altro mi ha riportato alle cose serie chiarendomi quel fenomeno fantastico che è l’Inversione: mi ha obbligato a concludere che il rapporto tra mondo e oltremondo è un rapporto anche più incasinato di quanto mi fossi immaginato. Devo ad alcune di queste pagine la scoperta di un anello che mi mancava, nella catena che riporta il Game a una certa visionarietà libertaria – quello tra Vannevar Bush e Douglas Engelbart: è come scoprire le sorgenti di un fiume. Mi era effettivamente apparso chiaro che le Serie televisive rappresentavano l’opera d’arte per eccellenza del secolo del Game, ma in effetti mi sarei dovuto attardare un po’ di più a studiare la cosa, mi son reso conto leggendo questo libro. Al fatto che circoli nel Game un nostro doppio – una nostra copia assemblata con i dati che ci lasciamo dietro – non avevo dato l’importanza che si merita. Che a generarlo sia sostanzialmente la somma degli innumerevoli sistemi di sorveglianza in cui siamo a mollo, è cosa a cui avevo pensato solo in modo distratto. Molto volentieri, dopo aver letto questo libro, oggi scriverei un paragrafo interamente dedicato allo shitposting e un altro a Bandersnatch : soprattutto riscriverei completamente quello su Facebook. Tornando indietro credo che prenderei quella storia delle tigri e la metterei dritta dritta come esergo, tanto è una storia simbolicamente riassuntiva del Ga me. Ma anche quella del cobalto. Per non parlare di quella dell’orso polare moribondo per il riscaldamento globale (tipica verità veloce, devo annotare, per rendere giustizia a uno dei capitoli più trascurati di The Game).Di sicuro, conoscendola come adesso la conosco, avrei fatto un uso massiccio della categoria di Antropocene, ideale per etichettare il Game. Mai, invece, mi sarebbe venuto in mente di riconoscere nel Game un tratto dominante femminile, o addirittura un processo di femminilizzazione del maschio: adesso che qualcuno mi ha spinto a riconoscerlo sono ancora lì che calcolo quante cose, questo dettaglio non da poco, può spiegare.Insomma, si è rimessa in moto, in qualche modo, la mappa originaria, in queste pagine. Come di ritorno da altre esplorazioni, altre mani hanno ridisegnato, corretto, rivoltato. Uno spettacolo, a modo suo.