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 2019  giugno 04 Martedì calendario

Quelli che soffrono della sindrome di Menière

C’è qualcosa di catartico e pacifico nell’ammirare il lento scorrere delle acque di un ruscello. Quel leggero fruscio sembra avere un effetto estremamente rilassante su molti. Ma non su tutti.
«Per me, per esempio, è come essere al centro di una cascata, immersa nella furia dell’acqua con la sola compagnia di un fastidioso sibilo nell’orecchio, un incessante bip che potrebbe mandare chiunque fuori di testa», confessa Nadia Gaggioli, presidente dell’Associazione Malati di Menière Insieme Onlus. È qualcosa difficile da immaginare, se non si ha avuto la sfortuna di essere affetti da questa malattia che colpisce l’orecchio interno e che devasta la vita di tanti. Per questo motivo, al prossimo convegno dell’Ammi Onlus, che si terrà sabato prossimo a Bologna, i partecipanti avranno la possibilità, per pochi minuti, di mettersi nei panni delle vittime della sindrome di Menière, almeno per quanto riguarda i sintomi uditivi.
L’Ammi Onlus ha infatti organizzato una serie di postazioni in cui sarà possibile «immergersi» nella vita dei malati, ascoltando per pochi minuti i suoni che percepiscono coloro che soffrono di Menière. È un modo, questo, per far sentire i malati meno soli. «La nostra malattia è di solito incompresa e difficilmente veniamo creduti», dice Gaggioli. Non soltanto dai datori di lavoro e dai colleghi, ma anche dalle persone care e a volte dagli stessi medici. Forse è anche per questo che è quasi sempre difficile arrivare a una diagnosi.
La malattia viene individuata solo attraverso il racconto dei sintomi e l’esclusione di altre patologie, come il cancro o la sclerosi multipla. Non aiuta poi il fatto che i sintomi sono poco specifici: progressiva perdita di udito, acufeni, vertigini (vere e proprie allucinazioni visive, non semplici giramenti di testa), sensazione di ovattamento e instabilità, oltre a nausea e vomito. Con la diagnosi, poi, non arriva la guarigione. Contro la sindrome di Menière, infatti, non esistono cure, ma soltanto terapie palliative. Né ci sono molte speranze a breve termine nella ricerca di una cura.
«Gli studi sono pochi - sottolinea Gaggioli -. Per questo abbiamo deciso di trasformare la nostra associazione in fondazione: in questo modo possiamo contribuire concretamente al sostegno della ricerca. Come fondazione, inoltre, speriamo di poter creare un registro dei malati di Menière in Italia». Oggi si hanno solo stime approssimative e e si aggirano intorno ai 3 mila casi.
Il punto è che tutto ciò che riguarda questa malattia è avvolto nel mistero. «Ci sono studi che sostengono l’esistenza di un legame con la presenza di “idrope endolinfatico”, vale a dire un rigonfiamento degli spazi dell’orecchio interno normalmente occupati da un liquido, l’endolinfa», dice Gaggioli. Altre ricerche, invece, hanno dimostrato un collegamento con l’insufficienza venosa cerebro-spinale cronica (nota con l’acronimo di Ccsvi). Alcuni malati, ma non tutti, possono trovare beneficio sottoponendosi a un intervento di angioplastica venosa percutanea. Non è risolutivo, ma può migliore alcuni sintomi. Per il resto le terapie si basano su costosi farmaci e ausili per l’udito.
Ora si stanno studiando nuovi approcci che sembrano procurare dei benefici. Come quello proposto dalla psichiatra e psicoterapeuta romana Rosa Bruni, che prenderà parte all’evento di sabato. «Oltre al tradizionale approccio psicoterapeutico, sembra che alcune pratiche di “mindfulness” funzionino», suggerisce Bruni. Si tratta, in sostanza, di tecniche di meditazione consapevole. «Nella letteratura scientifica ci sono studi che suggeriscono che proprio la “mindfulness” sia efficace nel migliorare la gestione di alcuni sintomi, come l’instabilità, le vertigini, gli acufeni e la capacità di resilienza - osserva Bruni -. Diventa così possibile aiutare i pazienti e fare in modo che trovino la capacità di attingere alla propria forza interiore».
Mentre la ricerca progredisce molto lentamente, qualcosa finalmente sembra evolversi sotto il profilo legale. «Al momento lo Stato non riconosce la sindrome di Menière come malattia cronica invalidante - lamenta Gaggioli -. Questo significa non avere alcuna tutela sul lavoro. Non possiamo accedere - continua - ai concorsi riservati ai portatori di handicap e, soprattutto, dobbiamo pagare di tasca nostra le cure e tutti gli ausili necessari per gestire i sintomi». La buona notizia, invece, è che sono stati depositati due disegni di legge per il riconoscimento della sindrome come malattia cronica invalidante.
Non solo. «Come è stato suggerito da un incontro al ministero della Salute abbiamo presentato la richiesta di essere inseriti nei “Lea”, i “Livelli essenziali di assistenza” - aggiunge Gaggioli -. Ci stiamo poi attivando per chiedere all’Agenzia italiana del farmaco di inserire i nostri farmaci in fascia A, vale a dire tra quelli che sono rimborsabili».
Non si tratta, certamente, di cambiamenti paragonabili a una cura vera e propria, ma sapere di essere compresi e supportati potrebbe avere un significativo effetto terapeutico.