La Stampa, 4 giugno 2019
L’incubo delle elezioni balneari
I nostri leader, e i loro cari, rischiano seriamente di non andare in vacanza. Dipende se torneremo o meno alle urne. Qualora prevalesse la voglia di nuove elezioni, le uniche date per rivotare cadrebbero a metà settembre, il 15 o il 22. Al massimo domenica 29. Rinviare più in là sarebbe impedito dalle scadenze di bilancio e il presidente Mattarella è stato chiaro: non se ne parla nemmeno. Per cui Salvini e Di Maio si trovano dinanzi a una drammatica scelta personale, prima ancora che politica. Meglio seppellire l’ascia di guerra (e tirare a campare) o sacrificare le proprie ferie (e rovinarle alle rispettive fidanzate) per lanciarsi in una nuova campagna elettorale? «Mai fare incazzare il partito delle mogli», già allora ammoniva Bettino Craxi. In realtà, l’intero ceto politico è appeso alla decisione di quei due; e, se vogliamo, lo sono 50 milioni di cittadini elettori. Già, perché una resa dei conti dopo l’estate non si è mai vista da un secolo in qua. L’ultima volta accadde nel 1919, poi mai più per le troppe grane a ogni livello.
All’ultima spiaggia
Prima complicazione: le liste andrebbero presentate a cavallo di Ferragosto. Migliaia di candidati a caccia di documenti e certificazioni con gli uffici pubblici semi-chiusi. I piccoli partiti costretti, sotto il sole della canicola, a raccogliere montagne di firme e a vidimarle una per una. Ma sarebbe solo l’antipasto di una campagna bollente, la prima in assoluto sotto l’ombrellone. In pratica, cosa vorrebbe dire? Anzitutto che di comizi in piazza se ne vedrebbero pochi. Al massimo dopo le 21, quando cala il fresco, e soltanto nelle località balneari. Per giunta destreggiandosi tra gli appuntamenti dell’estate canora che ha già selezionato le migliori date e location (Jovanotti, per esempio, ha in programma un Beach Tour con 25 tappe da Lignano Sabbiadoro a Viareggio). Rischieremmo di ritrovarci i leader sul pattino o da imbucati la sera in discoteca. Sorvoli di aeroplani e di droni con in coda striscioni tipo «Vota il Capitano» o «Vota l’Avvocato del Popolo». «Ci godremmo una campagna all’ultima spiaggia», scherza molto sul serio Filippo Sensi, comunicatore «Dem». Ma il profondo Nord sarebbe tagliato fuori, idem quanti preferiscono la montagna, per non parlare di chi se ne fugge all’estero. Come raggiungere quei milioni di italiani sparsi qua e là? Non certo con i manifesti 6x3 che costano un occhio e con i partiti che nelle elezioni europee si sono sparati fino all’ultimo cent. scuote la testa la vecchia volpe Ignazio La Russa. Inutile stampare depliant o spedire lettere destinate ad ingiallire nella cassetta della posta.
L’incognita del rientro
Altro ostacolo alla propaganda: i palinsesti televisivi. In agosto chiudono i talk-show e i super-conduttori si rifugiano ciascuno nel proprio «buen retiro», impensabile che rinuncino al (meritato) riposo per intervistare Berlusconi o Meloni. Tra l’altro, rispetto alla primavera, in estate l’audience crolla del 30 per cento. L’unico mezzo per restare connessi agli elettori sarebbero i social media, ancora più determinanti che nel passato. Salvini partirebbe in netto vantaggio, visto che lavora per lui la «Bestia», temuto algoritmo che lo rende onnipresente. Resta infine il dubbio di come tornerebbero gli italiani dalle vacanze: più rilassati e sereni, o in preda all’ansia da rientro, altrimenti detta sindrome post-vacanziera? Meglio disposti verso la politica oppure stressati con chi li stressa in un’eterna vigilia pre-elettorale? Chi vorrebbe votare a settembre farebbe meglio a pensarci su.