Corriere della Sera, 4 giugno 2019
Carmela Remigio e le 500 volte col Don Giovanni
Carmela Remigio ha rincorso sul palco, dal 1995 e per 500 volte (cifra record), un uomo che in realtà è un mito inafferrabile, reso dai registi ora come re dei seduttori ora come vecchio sporcaccione, tronfio a cavallo, sconfitto sulla sedia a rotelle: Don Giovanni di Mozart. Soffierà sulle 500 candeline il 18 giugno alla Fenice, dove riprende l’allestimento di Damiano Michieletto.
In quest’opera lei negli anni si alterna fra Donna Anna e Donna Elvira.
«Le due sono complementari, l’una è lo specchio dell’altra. Anna vorrebbe avere, senza riuscirvi, la passionalità di Elvira, la quale anela alla fermezza e calma di Anna, ma non ce la fa, le va il sangue al cervello».
Anna è ambigua, Elvira è gelosa.
«Donna Elvira dopo tre notti di passione viene abbandonata da Don Giovanni, lui scompare, lei pensava di essere la sua fidanzata e perde la testa. Io non amo quando mi chiedono di farne una gattamorta che piagnucola. Donna Anna a inizio carriera la vedevo algida, poi ho pensato alla freddezza con cui tratta nelle sue prime battute Don Ottavio, che suo padre le ha imposto come uomo e che lei al suo primo apparire nemmeno riconosce. Lui è l’affinità, Don Giovanni è l’amore».
Può avere mentito, Anna?
«Certo. Dice di essere stata violentata dal seduttore per giustificare se stessa, il suo stato sociale non le permetteva quella debolezza».
È lo spettacolo di Peter Brook.
«Rappresentò uno spartiacque teatrale. Quattro panche e quattro pali, il nulla e noi che recitavamo. Brook voleva che improvvisassimo, cambiando a ogni recita: arrabbiata, triste, malinconica».
La Donna Anna più stravagante?
«A Los Angeles, ambientato sulla luna con le scene di Frank Gehry. Gli uomini vestiti da Star Trek, io ero Lady Gaga: il suo truccatore venne da New York. Biondissima, trasgressiva. Mi ispirai al mentore di Lady Gaga, Madonna, che influenzò la mia adolescenza».
E la più tradizionale?
«Luca Ronconi volle una Donna Anna sedotta. Ma è una bella tradizione, e va contestualizzata in quell’epoca. David McVicar a Bruxelles mise una distesa di teschi e Kasper Holten a Barcellona abbracciò l’idea di Donna Anna mentitrice, con una sua doppia vita interiore».
Con Peter Mussbach alla Scala, lei era...?
«Anna. Mussbach mi diceva: extreme. Avevo i tacchi a spillo. Don Giovanni a torso nudo con pantaloni di pelle sadomaso, e con Don Ottavio, in inedita veste perversa, facevo l’amore sopra il cadavere del Commendatore».
Donna Elvira è petulante.
«Forse è più banale teatralmente, eppure mi diverto di più con lei, anche se la canto meno dell’altra. Nella sua tragicità e disperazione, è comica, fa uscire il mio lato mediterraneo. La gente ride ogni volta che canto, Ah, ti ritrovo ancor, perfido mostro! E poi è autodistruttiva. Dirà alla fine: Io men vado in un ritiro a finir la vita mia. Ma Pizzi a Macerata mi impose una camicia da notte con scollatura inguinale, e Michieletto a Venezia ne fa una stalker, al limite della follia, in scena ci diamo tante botte, è uno spettacolo molto fisico, andiamo a casa pieni di lividi ed è quasi un trofeo. Quando ascolto l’ouverture, mi rilassa e mi carica per diventare una furia».
Non esiste un’edizione di riferimento.
«Col Don Giovanni ho passato tante epoche teatrali, è bello vedere come l’opera cambia, si rimette in gioco, esprime i nostri anni. Non è tanto una sfida vocale ma psicologica e interpretativa; è l’opera che più di ogni altra si presta a essere stravolta, puoi fare l’opposto di ciò che hai visto e la musica, il dramma continuano a entrarti dentro. È sempre attuale. Oggi si potrebbe fare con i vincitori di Amici in tv. Sarebbe credibile».